Scegli la Lingua

Festival dell'architettura

Ti trovi in: Home page > Il progetto intelligente per la città intelligente / Smart design for a Smart city

Il progetto intelligente per la città intelligente / Smart design for a Smart city


Editoriale
Il progetto intelligente per la città intelligente

Premessa
Con qualche settimana di ritardo rispetto alla programmazione, dovuto al grande numero di studiosi partecipanti ed al rigoroso processo di revisione dei contributi, sono usciti due di una serie di numeri tematici scaturiti dalla FAM 2015 International Call For Papers.
La Call era suddivisa in tre sezioni tematiche generali (Città, Teoria, Educazione) all’interno delle quali altrettanti curatori (Enrico Prandi, Lamberto Amistadi, Giuseppina Scavuzzo) hanno ideato uno specifico sottotema, (rispettivamente “Il progetto intelligente per la città intelligente / Smart design for a Smart city”, “Dispositio e composizione in architettura” e “Costruire e/è costruirsi. Il complesso rapporto tra architettura e educazione”) articolandolo in un documento di indirizzo, successivamente coordinato la fase della peer review ed infine effettuato la selezione degli articoli accompagnando il numero della rivista (in alcuni casi più di uno) con un saggio introduttivo.
La call ha richiamato un centinaio di contributi internazionali dei quali 35 per la linea tematica “Città”, 31 per la linea tematica “Teoria” e 29 per la linea tematica “Educazione”.
Dei 35 della tematica “Città”, 10 sono stati accettati dai revisori con giudizio pienamente positivo; 8 sono stati accettati con indicazioni da parte dei revisori di perfezionarne/modificarne alcune parti (che gli autori hanno eseguito); 10 contributi sono stati respinti e gli autori incoraggiati ad una revisione e una riproposta, sulla base di alcune linee migliorative che i revisori hanno predisposto; 5 sono stati respinti e gli autori incoraggiati a presentarli in altre sedi ad esso più confacenti; 2 sono risultati non conformi, deliberatamente out of topics o di qualità non sufficiente.
Non molto diverse sono state le suddivisioni delle altre sezioni a conferma della qualità e della preparazione degli studiosi partecipanti che noi consideriamo il pubblico principale della rivista.

Il progetto della Smart City
Il tema della Smart City è oggi pervasivo e dominante rispetto a qualunque altro tema tradizionale urbano. Rappresenta una priorità strategica di Horizon 2020 dal quale le diverse regioni europee mutuano gli indirizzi locali in materia di ricerca e innovazione.
Ci sembrava però che a fronte di questa assoluta e condivisibile importanza del tema non ci fosse sufficiente chiarezza rispetto alle ricadute pratiche e operative. Oggigiorno, tutte le figure professionali preposte agli interventi e alle trasformazioni urbane, dai tecnici ai politici, parlano di Smart City senza averne ben chiaro il significato e soprattutto senza sapere come intervenire nella città europea per indirizzare la trasformazione. Naturalmente ciò vale in particolar modo per gli architetti.
Con l’obiettivo di mettere ordine nel pensiero teorico del progetto – che benché azione preminentemente pratica ha bisogno di un sostrato che faccia da fondamento all'azione e ne garantisca un'applicazione generalizzabile – abbiamo chiesto alla comunità di studiosi di restituirci le loro conoscenze sotto forma di studi teorici o esperienze pratiche relativamente al tema, non senza prima esporre induttivamente il nostro pensiero in merito.
Dopo l’equivoco della sostenibilità intesa come semplice sovrapposizione di un codice tecnologico al progetto di architettura in un ottica di puro ri-vestimento, il progetto rischia di trovarsi oggigiorno ad affrontare l’ulteriore equivoco della Smart City.
Affinchè ciò non accada, così come il progetto sostenibile non è altro che un insieme di buone pratiche o regole di composizione architettonica e urbana che hanno determinato la crescita delle città secondo un rapporto sequenziale e progressivo di parti formalmente e funzionalmente compiute così, in analogia, anche il progetto “intelligente” (il termine “smart” è stato volutamente e provocatoriamente tradotto come “intelligente” a recriminare piuttosto un’intelligenza del progetto della città) è tale se ricava dal corpo stesso della città le regole di una costruzione futura.
Ben venga l’uso della tecnologia o degli ultimi ritrovati elettronici a supporto della complessa meccanica funzionale urbana. Perché ciò non diventi come la chimera della domotica, che per gestire automaticamente la funzionalità domestica carica l’uomo di azioni riducendolo a robot controllore, è necessario che il progetto dell’architettura e della città individui un giusto equilibrio tra struttura e sovrastruttura.
Ammettendo, quindi, una certa fiducia nel progetto di architettura – così come tradizionalmente inteso e nella sua estensione a disegno urbano secondo quell’esperienza che ha fatto della stagione degli anni Sessanta-Ottanta del Novecento una delle più interessanti della riflessione sul progetto della città – siamo convinti che esso stia ancora (e per sempre) alla base di qualsiasi intervento urbano, anche di miglioramento “tecnologico”, nel passaggio dalla city alla smart city.

Una prima selezione di sei contributi attorno al tema della Smart City punta alla restituzione trasversale dei diversi aspetti proposti dai ricercatori: dal quadro definitorio ed introduttivo al tema (Boulanger) ad una prima riflessione generale applicata alla Città “smart” che preannuncia alcuni esempi (Cao e Scala) fino all'esemplificazione di interventi su singoli aspetti (Montuori, Tornatora) allargati anche al tema dello smart landscape (Melis / Roccella).

Cos'è la Smart City
Saveria Boulanger ci fornisce un quadro chiaro di definizioni sulla Smart City a partire dall'origine del concetto di smartness legato dapprima alla necessità comunicativa di un'automobile e successivamente applicato alla telefonia per denotarne la caratteristica di semplice utilizzo. Per interpolazione di significati mutuati dalle discipline in cui il termine viene utilizzato, dall'economia, al marketing, si arriva alla definizione di una serie di caratteristiche. La smart city è una città facilmente “utilizzabile” dai cittadini, in un ottica user-friendly; di dimensione progettuale strategica, che permette di migliorare la vita della popolazione; in grado di “auto-gestirsi”, nel senso di essere in grado di raccogliere dati e agire di conseguenza, in maniera automatica, “programmata”.
Una volta chiarite le caratteristiche rimane il non semplice compito di definire come debbano essere perseguite ossia, disciplinarmente parlando, come il progetto di architettura possa contribuire a realizzare la smart city materialmente.

Inoltre le attuali problematicità dell'ambiente antropico (inquinamento atmosferico, carenza di risorse, smaltimento dei rifiuti e via dicendo) si fondono con gli endemici problemi della città contemporanea (traffico eccessivo, periferie dormitorio, svuotamento dei centri, sicurezza sociale, ecc.) imponendo alle discipline progettuali una riflessione più ampia rispetto ad un approccio mirato al singolo intervento a tal punto che ci si dovrebbe chiedere come ogni architettura possa partecipare al collettivo processo di costruzione (o trasformazione) della città contemporanea in Smart City o Eco City.
A partire da questo imprescindibile presupposto di responsabilità del progetto di architettura, necessario ma non sufficiente, la riflessione va estesa agli interventi che coprono una scala maggiore (il progetto urbano) fino ad uno schema che possa inquadrare nell'ambito dell'intera città linee di intervento differenziate. Non senza dimenticare la dimensione territoriale estesa come sottolinea l'articolo di Melis / Roccella che alle consuete architetture smart e città smart affianca anche la dimensione del paesaggio smart con la conseguente nomenclatura specifica nella prefigurazione delle architetture direttamente applicate al controllo e alla gestione degli aspetti fondamentali della smart city come l'energia.
Mentre l’articolo di Paola Scala attraverso le parole di Vittorio Gregotti invita ad andare oltre le ipocrisie che hanno caratterizzato nel recente passato i concetti di green e di eco (che rischiano di caratterizzare quello più recente di smart) e di considerare l’architettura nel proprio potenziale di trasformazione degli spazi, di conformare i luoghi e disporre relazioni. A testimonianza di questa progettualità l’autore porta l’esperienza delle “water squares” progettate dagli olandesi De Urbanisten e presentate alla biennale di Rotterdam del 2005. Il progetto intelligente, quindi, dovrà saper risolvere con gli strumenti precipui dell’architettura le problematiche che affliggono le città e il territorio ma anche spostare maggiormente il fulcro verso chi realmente e quotidianamente si ritrova a vivere i nuovi spazi riconfigurati.

Dalla città funzionale alla città formale: dove sta il bello dell'intelligenza?
Le considerazioni di Umberto Cao permettono di mettere in risalto il problema della forma della città del resto da lui ben evidenziata attraverso la contrapposizione tra efficienza e forma. Accettando che la città sia un sistema sempre e costantemente in trasformazione (lenta o veloce che sia) questa nuova stagione di mutamento contraddistinta dagli imperativi eco-logici, pongono ancora una volta il problema dell’equilibrio tra esigenze funzionali ed esigenze formali.
La città antica oltre ad essere la più affascinante, è la più sostenibile e la più intelligente: ha ricavato dal luogo tutto ciò di cui aveva bisogno. Le tecnologie in uso mutuavano dai materiali del luogo (che erano naturalmente a chilometro zero) e le forme seguivano specifiche esigenze funzionali. Lo spessore dei paramenti murari non era calcolato solo per assolvere alle questioni tecniche strutturali ma anche per garantire una certa inerzia termica garanzia di confort ambientale; la forma delle coperture si adattava alle specifiche esigenze (di raccolta d'acqua o di deflusso della neve) e il colore era un più che valido alleato nella rifrazione della luce e del caldo. Nei climi torridi la tipologia era il risultato di sperimentati processi adattivi nei confronti delle esigenze come per esempio quella di garantire il raffrescamento tramite percorsi d'aria e/o l'ombreggiamento dato dalla vicinanza delle abitazioni. Questa era la principale spiegazione logica delle case con patio interno o delle strette strade che formano la città mediterranea. Tipologia architettonica e morfologia urbana sono invarianti contestuali anche quando le più sofisticate esigenze rappresentative dell'architettura (soprattutto pubblica) immettevano nel quadro progettuale una maggiore complessità di richieste.
Possiamo quindi sostenere che il primo esempio di intelligenza del progetto è quello di un recupero degli obiettivi stessi dell'atto di progettare e costruire architettura e città. Progettare (anche la trasformazione), nella maniera più responsabile analizzando le problematiche e soppesando le diverse esigenze (formali, funzionali, tecnologiche, rappresentative, ecc.) che l’architettura e la città recriminano da sempre.

La città ri-generata
La rigenerazione è l’imperativo alla base delle idee di intervento di Marina Montuori la quale contrappone alla smart city una città rinnovata composta da un insieme di “buoni luoghi” (il significato di Eutopia) sottoposti a (buone) pratiche di “manutenzione adattiva” a carattere preventivo e correttivo. Il punto di partenza è un’analisi dei tessuti ed una catalogazione del patrimonio storico per tipi edilizi di intervento al fine di aggiornare i manufatti e renderli qualitativamente e prestazionalmente efficienti. Lo fa individuando una rinnovata alleanza tra tipologia e tecnologia in grado di produrre un sistema integrato, definito “esoscheletro adattivo”, una sorta di sovrastruttura metallica flessibile e adattabile alle diverse esigenze. Una logica di intervento progettuale codificata che tende alla smart city attraverso la rigenerazione dei singoli edifici in grado così di affrontare le sfide del futuro urbano.

La città smaterializzata
All’articolo precedente può essere affiancato per similitudine di approccio quello di Marina Tornatora che pur partendo da considerazioni diverse tende al fine comune di costituire una modalità di intervento generalizzabile ma caratterizzabile al tempo stesso rispetto alle condizioni caratteristiche dei luoghi presi in esame.
Una componente importante della smart city è la connessione globale, un on-line perpetuo che rende possibili i grandi paradigmi mondiali del futuro: dall’NGN (Next Generation Networks) la rete delle generazioni future all’Internet of Things, ossia l’estensione della rete Internet agli oggetti, alle cose d’uso quotidiano, dal telefono al frullatore, dalla televisione all’automobile. Fino al Cloud, lo spostamento dei dati dal locale (la nostra casa, il nostro computer) alla rete, la cosiddetta nuvola.
Il digitale, le reti, e ogni applicazione computerizzata alla città che diviene città dei bits, per ricordare il paradigma di William Mitchell è però vissuto dagli addetti ai lavori come pericolosa smaterializzazione dell’architettura, se non nell’aspetto (nell’immaginario collettivo la città delle reti appare come modello wireframe del costruito o come la visualizzazione delle infrastrutture in cui le informazioni vengono trasferite, almeno nel contenuto fisico, nel corpo di quella materia pesante che costituisce l’archetipo primo dell’architettura.
Se la città storica contrappone a questa deriva la perentorietà dei suoi spazi, la forma compiuta dei luoghi, la certezza della materia, la periferia appare ben più fragile nei confronti del progressivo trasferimento dell’urbano verso una sua proiezione immateriale (la Postcittà definita da Purini). Sulla base di queste considerazioni Marina Tornatora individua nelle periferie del Sud Italia, i luoghi dell’incompiuto per antonomasia, testimoniato simbolicamente dagli edifici in parte interrotti a telaio strutturale, dell’ibridazione tra paesaggi diversi, un’isola (la terza isola in omaggio al clementiano terzo paesaggio) come territorio in cui sperimentare “biodiversità architettoniche” secondo la definizione di Zardini.
La tesi di fondo è quella del riutilizzo delle strutture architettoniche esistenti prive di qualità e mediante l’uso del dispositivo logico della contaminazione operare trasformazioni in grado di riscrivere e rimpaginare il testo urbano.

Com’era auspicabile da una rivista che si occupa di progettazione architettonica e urbana le riflessioni degli autori si sono soffermate sul ruolo del progetto rispetto all’ennesima sfida che la città contemporanea consegna agli architetti: una sfida che va affrontata senza rinunce e senza ripiegamenti nel nucleo interno della disciplina perché come l’esperienza storica insegna i vuoti disciplinari della progettazione vengono prontamente riempiti da altre discipline. E’ compito del progetto di architettura, quindi, tenere il campo in un rinnovamento continuo dei propri statuti disciplinari.

Enrico Prandi


a. VII - n. 42 - oct, dec 2017
a cura di: Paolo Strina
a. VII - n. 41 - jul, sep 2017
a cura di: Angela D'Agostino
a. VII - n. 40 - apr, jun 2017
a cura di: Red
a. VII - n. 39 - jan, mar 2017
a cura di: Lamberto Amistadi, Francesco Primari
a. VII - n. 38 - oct, dec 2016
a cura di: Tommaso Brighenti
a. VII - n. 37 - jul, sep 2016
a cura di: Giuseppina Scavuzzo
a. VII - n. 36 - apr, jun 2016
a cura di: Renato Capozzi
a. VII - n. 35 - jan, mar 2016
a cura di: Orsina Simona Pierini
a. VI - n. 34 - oct, dec 2015
a cura di: Andrea Matta
a. VI - n. 33 - jul, sep 2015
a cura di: Enrico Prandi
a. VI - n. 32 - apr, jun 2015
a cura di: Lamberto Amistadi
a. VI - n. 31 - jan, mar 2015
a cura di: Andreas Kofler
a. V - n. 30 - nov, dec 2014
a cura di: Enrico Prandi
a. V - n. 29 - sep, oct 2014
a cura di: Enrico Prandi, Lamberto Amistadi
a. V - n. 27-28 - may, aug 2014
a cura di: Lamberto Amistadi, Ildebrando Clemente
a. V - n. 26 - mar, apr 2014
a cura di: Mauro Marzo
a. V - n. 25 - jan, feb 2014
a cura di: Carlo Gandolfi
a. IV - n. 24 - sep, oct 2013
a cura di: Enrico Prandi, Paolo Strina
a. IV - n. 23 - jul, aug 2013
a cura di: Antonella Falzetti
a. IV - n. 22 - may 2013
a cura di: Giuseppina Scavuzzo
a. III - n. 21 - oct, nov 2012
a cura di: Lamberto Amistadi