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Festival dell'architettura

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RIVELARE/RIGENERARE: SIMBOLICO ICONICOE FIGURATIVOIN ARCHITETTURA


Editoriale

Questo ventiduesimo numero del FAMagazine raccoglie contributi molto diversi tra loro: un brano estratto dall’opera di una filosofa spagnola, la recensione a un libro su una architetto italiano in Brasile, due scritti sul tema del riciclo, nell’architettura e nell’arte contemporanee, e infine due scritti che raccontano due progetti della prima metà del secolo scorso, collocati rispettivamente a Stoccolma e nel sud della Francia.

Testi, luoghi e vicende tanto lontane sono legati dalla ricerca di segni comunicativi del legame dell’architettura con la terra: terra intesa come pianeta, per cui il legame è l’urgenza materiale di interventi ecologicamente sostenibili, ma terra intesa anche come grembo da cui tutto nasce, per cui il legame è con l’ancestrale, con l’originario.

Le due dimensioni si fondono, perché il rispetto e il ritorno ai cicli vitali del pianeta comporta il pensare le proprie azioni non nella linea progressiva di un tempo lineare ma nella ciclicità di un tempo circolare. Il tempo circolare è quello della natura, ma anche della magia, del mito, del sacro.

Il simbolico, la figurazione, l’iconico, che sono i linguaggi propri del mito e del sacro, divengono allora strumenti per il contemporaneo.

Concetti così attuali come il riciclare, il rigenerare, intesi nel senso più ampio del “riportare alla vita”, richiamano il possesso di doti e poteri che vanno ben oltre l’azione su materiali ri-immessi nei cicli produttivi. Riportare alla vita, luoghi e architetture, richiede una capacità rabdomantica di rintracciare correnti di vita sommerse, un sapere quasi sciamanico di leggere tracce, segni, di vedere l’invisibile.

La rigenerazione presuppone una rivelazione, che non è aperto disvelamento, ma passa attraverso segni evocativi, quali il simbolo, l’icona.

Segni che si offrono come “semi” sono quelli descritti nel testo di apertura, affidato alle parole di Maria Zambrano e alla sua indagine intorno alla ragione poetica.

Il secondo articolo parte da una riflessione sul libro di Luciano Semerani e Antonella Gallo su Lina Bo Bardi. Il “diritto al brutto”, con cui Semerani sintetizza emblematicamente il discorso della Bardi, è un inno alle possibilità dell'architettura di essere feconda alla vita, radicandosi in quanto di più originario, ancestrale, viscerale lega l’uomo al suo nascere sulla terra. A essere rigenerata è la stessa cultura architettonica occidentale, divorata e digerita per divenire altro, qualcosa di fertile per nutrire nuova vita, in un’accezione letterale di metamorfosi e di meticciamento.

Anche Giovanni Marras nel suo testo cita, tra gli altri, i progetti di Lina Bo Bardi. Parlando della rigenerazione del costruito, Marras indaga gli strumenti, conoscitivi e di intervento, che la composizione architettonica mette in campo per individuare le potenzialità di rigenerazione di un’architettura. Un concetto centrale è quello della forma-limite: la forma significante stabile capace di rappresentare la logica costruttiva e formale di in un organismo architettonico anche dopo trasformazioni fisiche e di uso. A partire dal riconoscimento della forma-limite possono essere sperimentate le diverse modalità compositive dell’intarsio, della sovrapposizione, dell’estensione, dell’inviluppo, e innestarsi possibilità di nuovi cicli di vita.

Il rapporto tra fondamento e trasformazione torna anche nel testo di Silvana Segapeli, che descrive il passaggio dell’architettura dalle volontà prometee alla ricerca di dinamiche biologiche rigenerative, come la metamorfosi che, a differenza della rivoluzione, garantisce il legame con il passato, con il fondamento.

I prodromi di questa ricerca sono rintracciati nella critica al consumismo delle avanguardie artistiche con i loro lavori sul rifiuto, poi nel pensiero ecologico, ma la conclusione è che il recupero, il riuso e il riciclaggio non siano concetti legati solo alle sfide materiali poste dalla cultura dell’eco-sostenibilità, ma si estendano ad una dimensione, che Segapeli definisce “maieutica”, del recupero di un patrimonio culturale e simbolico condiviso.

I due ultimi testi solo apparentemente si allontanano dalla tematica della rigenerazione, per darne in realtà la lettura più profonda, affidata a Maestri dell’architettura che l’hanno praticata attraverso un sapiente contatto con la terra.

Carlotta Torricelli esplora un episodio esemplare della capacità sciamanica dell’architetto di rivelare valori fondativi di un luogo: la partecipazione di Asplund e Lewerentz al Concorso per l’ampliamento del Cimitero di Stoccolma, nel1914.

Il progetto stesso si identifica con la capacità di cogliere il valore simbolico nei dati concreti della realtà, “presenze terribili o benigne con cui il nostro spirito può venire a patti finché non ha perduto la facoltà di vedere l’invisibile nel visibile”.

Il progetto come strumento di disvelamento risulta evidente nelle tecniche utilizzate per la rappresentazione del luogo nelle tavole di concorso.

Carlotta Torricelli confronta la ricerca della “matrice originaria del luogo” condotta in quelle tavole con le proposte e rappresentazioni che vediamo oggi in molti concorsi di architettura: la capacità evocativa dei segni è svuotata dalla facilità di accumulare immagini verosimili. La forma mitica della narrazione lascia spazio alla descrizione, affidata a render rassicuranti rispetto agli effetti traumatici degli interventi proposti.

La ricerca di Asplund e Lewerentz, in cui la dimensione simbolica è tensione verso l’assoluto e, allo stesso tempo, radicamento al luogo, si ritrova nel progetto di Le Corbusier per la Basilique de la Paix et du Pardon alla Sainte-Baume.

Sandro Grispan nel suo scritto rilegge il progetto come la rappresentazione di un mandala, un modello spirituale dell’ordinamento del mondo derivato dal simbolo della journée solaire de 24 heures dello stesso Le Corbusier. I vani della Basilica, scavati nella terra, propongono un percorso iniziatico processionale all’interno di un simbolo costruito, rappresentazione di una visione del mondo, della natura e dell’uomo, delle corrispondenze tra Macrocosmo e Microcosmo, in una “inequivocabile concezione cosmologica arcaica basata sulla struttura ciclica del Tempo”.

Sono i due ultimi articoli, rileggendo questi nostri “antichi contemporanei”, per usare ancora le parole della Zambrano, a confermare che l’Architettura sostenibile non è solo quella che produrremo, fruiremo e poi smaltiremo a costi economici e ambientali minori, ma anche quella i cui segni saranno capaci di restituirci ancora alla primaria condizione di abitanti della Terra.


Giuseppina Scavuzzo

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