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Festival dell'architettura

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Silvana Segapeli

Utopies réalisables et après.

 

Gordon Matta Clark, Open House (Also Called Drag-On & Dumpster), 1972. Industrial Container.

Gordon Matta Clark, Open House (Also Called Drag-On & Dumpster), 1972. Industrial Container.

"(...) Les préoccupations relatives à l’écologie focalisent désormais l’attention sur la précarité des milieux de vie conduisant à explorer les entrelacs de l’artefact avec les dynamiques tectoniques et biologiques plutôt qu’à poursuivre des volontés prométhéennes. Des postures de ruse s’élaborent pour s’allier à la nature en tant que puissance dynamique. Ce changement interpelle les fondations que l’architecture contribue à instaurer et les régénérations qu’elle peut susciter.”
(Chris Younès)

Lʼesercizio di ridefinizione del progetto in architettura, nel suo ruolo eminentemente sociale, di là dalle inquietudini interne alla disciplina, ha da qualche generazione preso un rilievo importante, soprattutto a partire dagli anni in cui lʼemergenza energetica ha alterato il nostro sistema di percezione dellʼambiente e della città. Qual è la capacità dellʼarchitettura di produrre simboli che si attaglino alla situazione attuale, che si accordino alle sfide del “sostenibile”, e quali gli strumenti concreti e vitali attraverso i quali il progetto si rivela veicolo di nuovi significati interpretativi di questa mutevole realtà?

Lʼattuale ricerca di un regime estetico che prenda in conto la questione dello sviluppo sostenibile testimonia una presa di coscienza che va nel senso di una responsabilizzazione dellʼarchitetto. La tematica non è certo nuova nellʼalveo della cultura architettonica, già alla fine degli anni ʼ50 Giancarlo De Carlo incarnava in Italia la figura di architetto-educatore, come ruolo edificante di mediazione tra progetto e pubblico-fruitore. È utile precisare che, al contempo, anche lʼidea di sviluppo sostenibile si è modificata, in parallelo e nel corso degli anni, dando sempre maggior peso ai valori relazionali, alle politiche che organizzano le relazioni sociali allʼinterno delle dinamiche urbane.

In questo processo, quali sono gli elementi che invitano alla trasformazione, nel senso proposto dai nuovi approcci dellʼeco-concezione e quali invece i principi ineliminabili che costituiscono una traccia permanente del nostro agire, come sedimento di sintomi culturali? Se da un lato Gregotti ci ricorda come il concetto di stabilità sia stato uno dei fondatori della società occidentale, e come questo sia rimesso in causa nella cultura contemporanea: “Sappiamo che esiste oggi (...) una profonda diffidenza nei confronti di nozioni come fondamento, essenze, specificità” (1), dʼaltro canto, nuovi paradigmi si presentano nel panorama delle teorie di stampo ecologista, e rinviano ad una differente nozione di trasformazione. Secondo Morin la metamorfosi, ad esempio, rappresenterebbe il valore positivo della trasformazione, sublimandone la radicalità del cambiamento. “(...) idea più ricca di quella di rivoluzione”, la metamorfosi garantirebbe il legame con il passato, ricco di eredità culturali, espressione di modi di vita consolidati nel tempo, bagaglio di valori simbolici comuni. (2)
Il pensiero ecologista, di cui Morin è eminente esponente, ha molto influenzato la cultura del progetto contemporaneo: il passaggio da una cultura del consumo ad una del riuso e della riparazione è da diversi anni un terreno di studi in comune tra lʼarchitettura e le diverse discipline che ruotano attorno al concetto di sviluppo sostenibile.

Rubbish is beautiful
Un grande lavoro è stato compiuto nel campo delle pratiche artistiche, ben prima che le teorie che si collocano nel solco Cradle to Cradle (3) facessero la loro apparizione.
I germi di una presa di coscienza della necessità dʼinscrivere le pratiche progettuali allʼinterno di un sistema simbolico autonomo rispetto ai codici consumistici, risalgono agli anni ʻ60, epoca in cui la produzione dʼavanguardia di movimenti e collettivi -estremamente prolifica in termini di elaborazione di utopie urbane e sociali-, infonde allʼarchitettura lʼallure di unʼarte collettiva.
Numerosi artisti, in quel periodo, hanno cominciato a lavorare sul concetto di ʻrifiutoʼ, a partire dalla Pop-Art, gravida di contenuti critici sullʼeconomia consumistica, conducendo ad un ripensamento dei valori simbolici attribuibili al nuovo, allʼoriginale.
Diversi potrebbero essere gli esempi, dalla “Riabilitazione dei valori discreditati” di Jean Dubuffet ai Mertzbau di Kurt Schwitters e ancora dalle Garbage City di Vito Acconci (4) al Manifesto for Maintenance di Mierle Laderman Ukeles.

J'ai toujours bien aimé, c'est une espèce de vice, ne mettre en oeuvre de matériaux que les plus communs, ceux auxquels on ne songe pas d'abord parce qu'ils sont trop vulgaires et proches et nous paraissent impropres à quoi que ce soit. J'aime à proclamer que mon art est une entreprise de réhabilitation des valeurs décriées. C'est aussi que de ces éléments, qui d'être si répandus sont habituellement par cela même soustraits aux regards, je suis plus curieux que de tous autres. “ (5)

Particolarmente fertile, in questo senso, il periodo degli anni ʼ70 che vede emergere la figura atipica di Gordon Matta-Clark, (an)architetto-artista newyorkese, impegnato nella ricerca di un diverso ruolo dellʼarchitettura nella strutturazione dei legami socio-ambientali. Dalla scultura Garbage Wall -un assemblaggio di rifiuti del circuito quotidiano- al ciclo Fresh Kill, fino a Open House, una delle prime installazioni realizzate con materiali provenienti da cantieri di demolizione, i suoi progetti segnano un passo determinante verso una rivalutazione simbolica del ʻrifiutoʼ.
Nello stesso periodo, ancora agli inizi degli anni ʼ70, Yona Friedman lancia il concorso internazionale Rubbish is beautiful, evento che vede per la prima volta la controversia “gettabile versus riparabile” significativamente correlata alla nozione di ʻscelta civicaʼ. Friedman spiega infatti che “(...) le déchet n’est déchet qu’en conséquence d’une opération de sélection préconçue de
composants utiles. Nous pourrions donc réduire, très simplement, la superproduction des déchets en transformant le mode d’utilisation de certains objets, donc en changeant l’opération-clé: la sélection.
” (6)

La serie degli Objets déguisés, cui farà seguito il ciclo più noto Les structures irrégulières, costituisce la sua risposta personale al concorso. Lʼattenzione slitta dallʼoggetto formalmente determinato alla sua materialità e segna il punto di partenza di una ricerca sul necessario “changement d’attitude” (7), che resterà nel tempo il filo conduttore di tutto il suo lavoro.
La sua postura sollecita una revisione delle logiche interne di un sistema economico che regolamenta pericolosamente tutte le relazioni tra uomo e materia, tra individuo e oggetto, tra società e consumi. Un sistema che deve perciò essere rimesso in discussione attraverso la costruzione di un diverso regime sensibile.
Il tema è semplice e complesso al tempo stesso, lʼobiettivo risiede nella necessità di riorganizzare la società sulla base di una ridefinizione del rapporto tra individuo e ambiente, ponendo una distanza critica rispetto al consumismo. l fattori culturali rientrano enormemente nella valutazione del ʻrifiutoʼ, la possibiità di conferire agli scarti un differente statuto è legata principalmente ai valori morali e solamente in seconda istanza a fattori tecnici e funzionali.

Allo stesso periodo appartengono, sul fronte delle scienze, i concetti di adattabilità e reversibilità, che insistono sulla costruzione di un nuovo sistema di valori, al crocevia tra scienza dei materiali, biologia e società: nel 1973 lʼecologo canadese Crawford Stanley Holling formula il concetto di “resilienza ecologica” legata ai sistemi complessi di adattamento e auto-regolazione, in termini di capacità di un socio-ecosistema di assumere e gestire una trasformazione.
Nel contempo, la vena prolifica della “nouvelle écologie”, già attiva nel corso di quegli anni, si basa su concetti appartenenti alla biologia e alla genetica, ponendo lʼaccento sui cicli e sui ritmi biologici.
Lʼindustria della costruzione è la prima ad accoglierne i frutti. Il concetto di ciclo di vita dei materiali che si pone oggi come strumento indispensabile per calcolare lʼimpatto ambientale delle costruzioni, è legato, nella sua genalogia, agli studi di Richard Stein (8), che appartengono evidentemente a questa stessa epoca.

In effetti, se gli anni ʼ70 portano la traccia del clivage, la linea di frattura, tra la produzione industriale incontrollata dei paesi capitalistici e una presa di coscienza della crisi ambientale, lʼepoca è certamente una delle più feconde per quanto concerne la sperimentazione, la costruzione di nuove strategie, la strutturazione di diversi codici interpretativi dei fenomeni in atto, renderne una cartografia sarebbe difficile, vista lʼampiezza dello spettro di azione.

Finalmente, questa potrebbe essere una delle chiavi possibili per orientare il difficile passaggio della cultura architettonica contemporanea attraverso la crisi ambientale. Nel quadro di un declino del capitalismo, lʼidea che il recupero, il riuso e il riciclaggio non siano dei concetti legati soltanto alle sfide materiali poste dalla cultura “sostenibile”, ma che si estendano ad una dimensione maieutica del recupero del patrimonio delle forme di produzione e dei modi di vita, trova conforto in diversi filoni di ricerca. (9)

 

1. Vittorio Gregotti, Contro la fine dellʼarchitettura, Einaudi, Torino 2008, 22
2. Cfr. Edgar Morin, Eloge de la métamorphose, 2011 Sito internet: lejour-et-lanuit.over-blog.com. «(…) L'idée de métamorphose, plus riche que l'idée de révolution, en garde la radicalité transformatrice, mais la lie à la conservation (de la vie, de l'héritage des cultures). (…) Tout commence, toujours, par une innovation, un nouveau message déviant, marginal, modeste, souvent invisible aux contemporains ». (Edgar Morin)
3. Cfr. William McDonough et Michael Braungart, Cradle to Cradle. Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, 2002
4 Cfr. Garbage City (Project for Hiriya Garbage Dump, Airya, Israel), 1999, The City that Rides a Garbage Dump (Bavel Garbage Tip, Breda, The Netherlands), 1999.
5. Dubuffet, L'homme du commun à l'ouvrage, "Prospectus et tous écrits suivants". Paris, Gallimard, collection Folio‐Essais, 1991
6. Yona Friedman, Utopies réalisables, L’éclat, Paris 2008, (première édition 2000), p.99
7. Ibidem
8 Richard Stein , Architecture and Energy, Anchor Press, 1977
9 Cfr. Il lavoro di ricerca di Néstor Garcia -Canclini (1991) che identifica per la prima volta il criterio di “cultural reconversion” nei processi di co-creazione e riaggiustamento.

 

Silvana Segapeli è architetto e dottore di ricerca in Progetto e Recupero architettonico urbano ed ambientale. Insegna alla "Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Saint-Etienne", nel dominio disciplinare « Paysage, Art, Design », ed è ricercatore presso il GERPHAU- Laboratoire Philosophie Architecture Urbain, della "Ecole Nationale Supérieure d'Architecture Paris la Villette".

Gordon Matta-Clark, Open House (Also Called Drag-On & Dumpster), 1972. Wood.

Gordon Matta-Clark, Open House (Also Called Drag-On & Dumpster), 1972. Wood.