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Festival dell'architettura

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Franca Caberletti

Gianugo Polesello. L'arte di farsi rispettare

 

Gianugo Polesello, Progetto per il Padiglione Italia ai Giardini della Biennale, Venezia 1987

Gianugo Polesello, Progetto per il Padiglione Italia ai Giardini della Biennale, Venezia 1987

 

“L’onore è l’opinione che gli altri hanno di noi, cioè l’opinione generale di coloro che sanno di noi; più precisamente è l’opinione generale che coloro che ci conoscono hanno del nostro valore sotto un qualche aspetto che va preso in seria considerazione, e che determina i diversi generi dell’onore. In questo senso si può definire l’onore come il rappresentante del nostro valore nei pensieri altrui.” Arthur Schopenhauer

La mostra Gianugo Polesello. Maestro dell’indecifrabile. Auto-ritratti veneziani accosta i progetti “veneziani” di Polesello agli autoritratti degli ultimi anni della vita rilevando quanto resti ancor più “indecifrabile” la sua opera se si scinde dall’uomo. Polesello disegna se stesso in pianta e in sezione come se fosse una delle sue architetture confermando, anche con l’autoritratto, che la pianta/sezione è la generatrice del progetto. Personalmente ho ricordato la figura di Polesello attraverso il rapporto instaurato con la tesi di laurea “L’osservatorio astronomico, la stazione remota di controllo: un progetto d’architettura”, relatori Gianugo Polesello, Armando Dal Fabbro e Carmelo Majorana. Polesello mi invitò da subito ad affrontare il tema dell’osservatorio astronomico partendo dall’origine, cercando nella storia l’evoluzione del tipo architettonico e della pianta centrale correlata alla funzione specifica del tema. Durante il percorso di maturazione del progetto l’invito ripetuto era quello di eliminare tutto ciò che era superfluo lasciando nella pianta/sezione solo gli elementi essenziali. L’approccio di Polesello era quello che anche i temi e gli aspetti ingegneristici e tecnologici più complessi potevano tradursi in un progetto di architettura. I rimandi ai suoi progetti erano continui: su tutti la funivia di Ravascletto sul monte Zoncolan del 1972 e il ponte dell’Accademia di Venezia del 1985. Standogli vicino compresi che la definizione Albertiana di “bellezza” calzava perfettamente col suo concetto di architettura ovvero di “concinnitas, di armonia tra tutte le membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio”. Nelle opere di Polesello, si sente la concinnitas tra tutte le membra, tra tutte le parti che la compongono. Le membra sono composte nel progetto attraverso la regola matematica e geometrica. Il reticolo cartesiano della maglia geometrico/strutturale a passo di 7,5 metri, adottata nella pianta e nell’alzato definisce le proporzioni stesse della sua architettura. L’architettura di Polesello mira a conservare la forma pura delle figure geometriche che la compongono, il triangolo isoscele, il quadrato, il cerchio, il prisma, il cubo, il parallelepipedo, il cilindro. Polesello elide dalle sue architetture l’ornamento, poiché lo considera “pulcritudo addita”, un “attributo accessorio, aggiuntivo non indispensabile”. Le architetture di Polesello sono quindi struttura da subito, dallo schizzo, dal momento del concepimento dell’idea stessa di architettura. La sua architettura si astrae a tal punto che diviene schema statico/strutturale e al contempo funzionale. In particolar modo negli schizzi a china Polesello lascia sul foglio le tracce e il peso della struttura stessa dell’architettura: alcune linee sono maggiormente calcate e ingrossate, sono impronte dell’architettura pensata. Sono chiari i rimandi all’architettura classica trilitica, architravata, dove i sostegni verticali sono rappresentati dalla colonna e quello orizzontale dall'architrave. L’architettura classica è la matrice del suo pensiero ed è talmente interiorizzata che gli elementi architettonici estrapolati dalla storia dell’architettura sono montati e ri-composti ironicamente all’interno del progetto in modo non canonico, gli elementi evocano un mondo classico che resta il simbolo di un modo di procedere e pensare. Pensiamo alla cupola sospesa del progetto per il padiglione Italia o alle colonne del porticato d’ingresso nel progetto degli Uffici per la Camera dei Deputati. Negli schizzi Polesello in modo istantaneo definisce gli elementi costitutivi del progetto, il reticolo spaziale, la pianta, gli elementi verticali (le colonne, i pilastri, i setti murari,) e gli elementi orizzontali (gli architravi, le capriate, i solai a piastra, le coperture reticolari, le passerelle); gli elementi portanti (fissi) sono distinti da quelli di tamponamento (mobili), le parti opache dalle trasparenti. Polesello in molti progetti adotta la struttura intelaiata, le rette orizzontali (travi) e verticali (pilastri) o punti (colonne) si cambinano di volta in volta secondo i vincoli posti e in base al tipo di giunzione pensata. Studia strutture intelaiate in cls, in acciaio, miste. I materiali sono importanti. Pensiamo all’uniformità del granito bianco che costituisce il muro cieco perimetrale degli uffici per la Camera dei Deputati (Roma 1966), al muro di lamiera di acciaio nel secondo progetto per il Museo della Resistenza nella risiera di S. Sabba (Trieste 1966-68), due muri in lamiera di acciaio con armatura in profilati, irrigiditi trasversalmente da una serie di diaframmi sagomati dell’altezza di 15 metri. Il suo pensiero è in continuità con Mies e Le Corbusier. Nei suoi progetti le strutture si montano a incastro guardando anche alla tecnica costruttiva del suo tempo: la prefabbricazione degli elementi montati e assemblati in opera. Polesello adotta elementi strutturali di facile montaggio per creare architetture complesse nello spazio, nel controllo della luce naturale e nell’articolazione delle funzioni e dei percorsi.

Franca Caberletti è stata collaboratrice di Gianugo Polesello.
G. Polesello, schizzo di studio per il centro turistico dello Zoncolan nella Carnia centrale, 1968

G. Polesello, schizzo di studio per il centro turistico dello Zoncolan nella Carnia centrale, 1968