Scegli la Lingua

Festival dell'architettura

Ti trovi in: Home page > Magazine > L'interazione edificio-città

Carlo Gandolfi

L'interazione edificio-città

O. Niemeyer, Obra do Berço a Rio de Janeiro in un immagine recente e Facciata del Palazzo Itamaraty, Brasilia - ZOOM

O. Niemeyer, Obra do Berço a Rio de Janeiro in un immagine recente e Facciata del Palazzo Itamaraty, Brasilia

Abstract
Per Niemeyer l'architettura è un tutt'uno con la città e il territorio. Tema cruciale per analizzare questa relazione sono le modalità attraverso le quali separa l'edificio dallo spazio aperto e dalla città. Ci troviamo di fronte ad una ricerca che supera di molto la semplice evoluzione di Le Corbusier e la semplice capacità scultorea che gli è stata attribuita: quella di Niemeyer è una composizione di grande respiro, in continua evoluzione e tensione con la città e con il paesaggio.

L’architettura brasiliana recente costituisce oggi, anche rispetto alla tradizione del moderno e delle sue successive declinazioni, una delle esperienze più ricche e utili per comprendere come la continua tensione tra edificio e città possa influire sulla qualità urbana determinandone il carattere. In merito al tema del rapporto tra edificio e spazio aperto nella metropoli contemporanea, essa opera in sua grandissima parte – pensiamo, solo per citarne alcuni, agli esempi di João Vilanova Artigas, Paulo Mendes da Rocha, Lina Bo Bardi – in contesti recenti o lontani dal concetto di “città storica”.
Lo sguardo parallelo sull’architettura in sé – sul singolo edificio e sulle parti che lo articolano – e sul rapporto che questo instaura con lo spazio urbano è una delle cifre dell’architettura brasiliana e, nella fattispecie, di quella dell’architetto carioca.
Il primo progetto realizzato autonomamente da Niemeyer è stata l’Obra do Berço del 1937, un piccolo edificio destinato a servizi sociali a Rio de Janeiro pressoché sconosciuto ai più. Ad essa risale l’impiego di lame schermanti verticali poste in facciata, una sorta di evoluzione dei Muxarabis brasiliani ereditati dalla tradizione araba, sorte di tessuti lignei utilizzati per schermare gli spazi interni dai forti raggi solari. “Il brise soleil è una soluzione proposta da Le Corbusier come protezione termica in Algeria. […] Col tempo anche da noi sarà adottato”: in uno suo scritto molto specifico sul tema (1), Niemeyer ne illustra l’impiego e i pregi.
Se la facciata è “elemento gerarchicamente rilevante del progetto” cui “viene attribuito il compito della relazione con la città” (2), potremmo allora individuare in questa esplicita citazione di Le Corbusier rispetto ad un preciso elemento architettonico una base utile a considerazioni successive. Niemeyer torna più volte sul tema della facciata intesa come dispositivo urbano e come diaframma in grado di mettere in relazione “e armonia” l’interno all’esterno dell’edificio. Lo fa anche in un altro suo scritto: “Uno dei problemi più gravi dell’architettura attuale è quello dell’unità urbana. Si tratta dell’armonia tra gli edifici, volumi, altezze e spazi liberi che costituisce l’architettura della città” (3). Nello stesso articolo Niemeyer spiega, con grande sintesi, come nel caso di Brasilia, il problema non sia specificamente legato al linguaggio del singolo edificio, ma ad un ordine di rango superiore, a scala urbana, in grado di attribuire a “parti” di città una specifica riconoscibilità. Il fatto che, secondo Niemeyer, le relazioni tra le parti vengano prima del linguaggio delle singole parti, ci aiuta a chiarire l’equivoco che ha accompagnato la sua opera per decenni, ossia l’essere stata letta, in primis, come insieme di forme libere, citazioni delle forme organiche della terra e della donna. L’architettura di Niemeyer è anche questo, ma non solo: la forza della sua opera – e la sua stessa attualità – sta nella composizione planimetrica, nella relazione che la singola architettura instaura con la città e non solo in termini immediati.
Il continuo inno alla curva compiuto in modo quasi sistematico all’interno della sua opera non va infatti interpretato come spasmodico e ossessivo imperativo formale, bensì come l’indagine continua e attenta sulla forma stessa rispetto alla tecnologia contemporanea da un lato (4) e, dall’altro, sullo studio di una serie di relazioni visive, immediate e a distanza. Per questa ragione l’occhio e l’uomo che dà misura allo spazio sono sempre presenti nei suoi schizzi.
La sua sperimentazione, in questo senso, ha trovato il culmine negli anni ‘50 - ‘60 con opere come l’Edificio Copan a San Paolo del 1951-3 o l’edificio Niemeyer di Belo Horizonte del 1954 in cui Niemeyer ha indagato, alla stregua di giganti oggetti urbani, il tema dell’edificio ad uso misto o residenziale all’interno del tessuto urbano concependolo come organismo complesso. Nel caso del Copan, la forma sinuosa collabora all’irrigidimento della struttura. Essa ne annulla, di fatto, il partito architettonico alla ricerca di una potente unitarietà della massa alla stregua di un importante caposaldo urbano. L’edificio assume così una condizione urbana di grande disordine, fatta di addizioni e discontinuità, attraverso un solo segno compatto e riconoscibile e capace di sublimare la tipologia del blocco tradizionale.
Niemeyer ha collaborato con Le Corbusier (e Lúcio Costa, Affonso Reidy, Ernani Vasconcelos e altri) alla progettazione del Ministero dell’Educazione e Salute di Rio de Janeiro a partire dal 1936. Questo edificio rappresenta il primo esempio di applicazione a grande scala dei principî corbuseriani: “i pilotis staccati su cui si regge l’edificio, le strutture indipendenti, la libertà planimetrica, il “pan de verre” impiegato come limite ideale dello spazio interno, l’isolamento del volume dell’edificio nel contesto dell’ambiente urbano, i caratteri di continuità a livello del suolo [...]” (5).
Nello schizzo per l’ospedale del Sud America del 1952 si nota l’attenzione rispetto all’implantação, il posizionamento nel lotto rispetto agli spazi esterni. L’edificio sembra essere posato a terra, ma è in realtà vi è una sorta di pausa tra suolo e volume. Questo spazio di elevazione avviene grazie a dei massicci pilastri a forma di V: se i pilastri del Ministero del ‘36 trovano una corrispondenza puntiforme a terra della struttura, questo elemento a V scinde l’elemento di sostegno dal volume portato. Grazie ad essi il numero di punti d’appoggio è dimezzato e l’edificio trova una sua autonoma compattezza e compiutezza formale.
Gli elementi della lezione corbuseriana sono introiettati da Niemeyer in una sorta di potente astrazione: la sua ricerca è quella di un’architettura nuova o futura capace, per sua stessa natura, di trovare nella costruzione il mezzo d’espressione più consono.
Si può quindi parlare di un superamento che avviene attraverso una sperimentazione continua che fonda un’architettura della distanza, del territorio, della città intesa come entità ampia. La sua lezione è l’attenzione per l’uomo ed insieme quella della fiducia nell’architettura intesa non come panacea ai mali della società, ma come possibilità per il futuro, come arte collettiva per eccellenza.

Note
(1) Niemeyer, O. (1939). A proteção da fachada oeste por “brise soleil”. Revista Municipal de Engenharia: Rio de Janeiro, v. 6, n° 3, maggio 1939, p. 282-3. T.d.A.
(2) Pierini, O. S. (2008) Sulla facciata. Tra architettura e città. Maggioli: Santarcangelo di Romagna, p. 9.
(3) Niemeyer, O. (1993). A Unidade Urbana. In Conversa de arquiteto. Revan: Rio de Janeiro, p. 40. T.d.A.
(4) “Un’architettura non deve solamente essere bella, ma deve testimoniare le possibilità tecniche del suo tempo”. Aforisma. S. d.
(5) Bullrich, F. (1970). Orientamenti nuovi nell’architettura dell’America Latina. Electa: Milano, p. 18.

Carlo Gandolfi, architetto (Politecnico di Milano) è dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana allo IUAV di Veneziaè ricercatore al DICATeA - Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università degli studi di Parma.


Piante ai tre livelli della Obra do Berço a Rio de Janeiro - ZOOM

Piante ai tre livelli della Obra do Berço a Rio de Janeiro