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Festival dell'architettura

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Carlotta Torricelli

Vedere l'invisibile nel visibile.

Ri-velazioni nel paesaggio svedese.

 

Erik Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, Skogskyrkogården, Stoccolma, 1915-1961. Fotografia di Carlotta Torricelli, febbraio 2010.

Erik Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, Skogskyrkogården, Stoccolma, 1915-1961. Fotografia di Carlotta Torricelli, febbraio 2010.

In questo Nord scandinavo (…) gli elementi pagani vengono percepiti come ‘elementari’, nel senso letterale della parola, presenze terribili o benigne, non riconducibili all’ordine umano, che ci circondano da ogni dove, e con cui il nostro spirito può venire a patti finché non ha perduto la facoltà di vedere l’invisibile nel visibile.” (1)

Così Marguerite Yourcenar chiarisce la dimensione simbolica che presiede alla costruzione narrativa dei romanzi della celebre scrittrice svedese Selma Lagerlöf, insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 1909, proprio per la ‘percezione spirituale’ che caratterizza le sue opere. Le stesse parole, d’altra parte, possono servire per descrivere il fitto intreccio di sintagmi classici e figure di derivazione biblica, dispiegato attraverso il corpo denso della foresta nordica, che caratterizza il sublime paesaggio dello Skogskyrkogården (Cimitero del Bosco) di Stoccolma.
Nel 1914 Erik Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, non ancora trentenni, partecipano al Concorso internazionale per l’ampliamento del Cimitero Sud di Stoccolma, adottando un sistema di rappresentazione inedito: alle planimetrie e ai disegni d’insieme dell’impianto sono accostate una serie di inquadrature ravvicinate, capaci di sintetizzare la successione narrativa che organizza lo spazio. La sequenza di frames è realizzata attraverso disegni, ma anche mediante una serie di fotografie dell’ambiente naturale, sulle quali sono tracciati a inchiostro alcuni segni. La riproduzione tecnica della realtà non provoca la perdita dell’aura del luogo (2), ma mette in atto un processo di astrazione, che conduce, necessariamente, a una ri-significazione. Il progetto è premiato dalla giuria perché concepisce il nuovo cimitero come unità inscindibile tra architettura e paesaggio, coniugando temi propri della cristianità con miti nordici e istanze socialdemocratiche. Ma la capacità espressiva della proposta architettonica risiede nella tensione che, attraverso il disegno, si instaura tra natura e artificio e non nella mimesi dell’arte con la natura; cioè nella costruzione della Stimmung attraverso la tensione tra soggetto e oggetto, identificati grazie alla loro separazione e non alla fusione, in senso romantico, dell’uno con l’altro. Si potrebbe parlare di una messa in opera della natura, dove la congruenza con il luogo è perseguita attraverso operazioni dichiarate: il progetto è opera di prosecuzione della natura, non di adattamento a essa. Pochi anni prima Wassily Kandinsky (3) si rammaricava del cattivo uso che la massa andava facendo della parola Stimmung, banalizzando la portata del concetto, e oggi, a un secolo di distanza possiamo constatarne la triste epopea, di cui l’abusato concetto di mood ha segnato la conclusione. Simulazioni perfettamente realistiche dei progetti affollano oggi i concorsi di architettura (non da ultimo quello del 2009 per la realizzazione di un nuovo Crematorio presso lo Skogskyrkogården), perdendo l’occasione di utilizzare la rappresentazione per lo scopo che sarebbe proprio: mostrare qualcosa che sta oltre (4) il velo della realtà. Lo stesso Kandinsky, parlando della scrittura di Maurice Maeterlinck, sottolinea come, in una concezione dell’arte astratta, antinaturalistica e non impressionistica, i dati concreti abbiano valore eminentemente simbolico e servano come eco spirituale: “la parola è un suono interiore”. Non è una coincidenza se il poeta e drammaturgo belga è a Stoccolma nel 1911, per ricevere il Premio Nobel per la letteratura per la sua ‘poetica fantastica’, che influenza in forma diretta i presupposti culturali su cui è formulato il bando di concorso per lo Skogskyrkogården (5).
Oggi, la capacità evocativa della parola, dunque dei segni, è svuotata e la facilità di accumulazione delle immagini esclude il processo di astrazione, lasciando spazio soltanto alla sterile descrizione. Spesso si crede che mimesi sia sinonimo di rispetto, dimenticando che il processo di imitazione prevede un meccanismo di presa di distanza dall’oggetto, che esclude a priori procedimenti di sovrapposizione diretta. Fragili inserimenti fotografici nel tanto menzionato ‘contesto’ manifestano, con maggiore evidenza, l’ipocrisia del processo.
Nelle tavole di concorso di Asplund e Lewerentz l’utilizzo della fotografia mostra proprio come l’atto di concezione del progetto sia inteso come strumento di dis-velamento della realtà e in questo senso rimanda alla Scienza delle Corrispondenze, elaborata dal mistico svedese Emanuel Swedenborg, secondo cui esiste una corrispondenza diretta tra mondo reale e mondo spirituale e l’uomo deve, per riconoscere queste relazioni, scoprire il sistema di segni che, a causa della ragione, non riesce più a identificare in forma immediata. La foresta esiste da prima che Asplund e Lewerentz costruiscano al suo interno, è la matrice originaria del luogo, ma il nuovo progetto ne rivela il valore archetipico alla collettività che qui riconosce il monumento e condivide il senso della memoria. I due architetti comprendono l’ordine naturale e lo rendono evidente nella tensione con un ordine artificiale. Il disegno dei tracciati, che collega una sequenza di edifici sacri isolati, è inciso nella massa del bosco, in cui sono stese uniformemente le sepolture. L’idea di costruire una necropoli simbolica, una città che costituisce l’analogo della metropoli, ma in cui i frammenti urbani sono affiancati alla potenza figurativa della natura o evocati da fatti naturali appositamente disposti, consente di creare un luogo in cui sono rappresentate allo stesso tempo due sfere, quella classica e quella arcaica, in una concezione del mondo in cui l’esistenza dell’una implica l’accettazione dell’altra. Il rigore e l’assolutezza del mondo classico danno forma a un disegno capace di introdurre la regola nella natura, ma di quell’universo naturale vengono ingaggiate anche le zone oscure, le disarmonie, le sospensioni e gli enigmi. L’utilizzo della forma mitica come narrazione costruttiva permette ai due giovani architetti di tracciare una strada verso la Modernità e, allo stesso tempo, di radicare il progetto alla cultura Nordica. Con spregiudicatezza prelevano segni da linguaggi codificati del passato e li inseriscono più che come frammenti a evocare una perduta unità, come passaggi per raggiungere quell’oltre che, senza scomodare Dio, è scopo ultimo dell’arte.
In questo senso Uomo e Natura non sono in antitesi ma complici in un dialogo eternamente rinnovato. Niente di più lontano, dunque, da un’estetica del camouflage che presuppone l’integrazione dell’atto umano nel contesto naturale. Di fronte all’urgenza della sopravvivenza del pianeta, assistiamo oggi a goffi esercizi di travestimento, o ancora peggio, di mitigazione di eventi che si considerano già a priori traumatici, che cercano di manifestare un tardivo rispetto nei confronti di una terra e di un suolo privati della loro identità. Nell’intenso discorso The Method of Nature, scritto da Ralph Waldo Emerson nel 1841 - ripreso e commentato da Maurice Maeterlinck in un saggio nel 1898 (6) - l’attenzione ricade sulla capacità del Genio di guardare alla natura andando oltre l’incantesimo della meraviglia: “il poeta deve essere un rapsodo: la sua ispirazione una sorta di luminosa disgrazia” (7) e il suo fine è tendere verso quel qualcosa che è ‘inafferrabile ai sensi’, ma di cui si percepisce il peso. Con il progetto per lo Skogskyrkogården Asplund e Lewerentz si guadagnano l’epiteto di Meister des Namenlosen (8), maestri dell’indicibile, e nella loro ricerca la dimensione simbolica è, allo stesso tempo, tensione verso l’assoluto e radicamento al luogo. È il volo inarrestabile de L’Oiseau bleu di Maeterlinck, che potrebbe - per chi volesse ancora cercarlo- continuare ad aprire nuove ricerche.   


1. Yourcenar, M. (2004). Selma Lagerlöf, narratrice epica. In Id., Con beneficio d’inventario. Milano: Bompiani.
2.  Benjiamin, W. (1955). Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit. Traduzione italiana di Filippini, E. (2000).  L’opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Milano: Einaudi.
3.  Kandinsky, W. (1912). Über das Geistige in der Kunst, Insbesondere in der Malerei, München: R.Piper & Co. Traduzione italiana a cura di Pontiggia, E. (2005). Lo spirituale nell’arte. Milano: SE.
4.  Severino, E. (2007). Oltrepassare. Milano: Adelphi.
5.  Cfr. Constant, C. (1994). The Woodland Cemetery: Towards a Spiritual Landscape. Stockholm: Byggförlaget.
6.  Cfr. Mac Minn, G. R. (1916).  Emerson and Maeterlinck. The Sewanee Review, 3, 265-281.
7.  Emerson, R.W. (2012). The Method of Nature. Traduzione italiana a cura di Banfi, A. Milano: La Vita Felice.
8.  Cfr. Porphyrios, D. (1983). Classico, cristiano, socialdemocratico. L’architettura funebre di Asplund e Lewerentz. Lotus International, 38, 59-70.

 

Carlotta Torricelli (1980), architetto, insegna Composizione Architettonica alla Scuola di Ingegneria Edile/Architettura del Politecnico di Milano, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica presso l’Università Iuav di Venezia ed è stata borsista della Fondazione C.M. Lerici di Stoccolma.

Sigurd Lewerentz, Cappella della Resurrezione, Skogskyrkogården, Stoccolma, 1921-25. Fotografia di Carlotta Torricelli, maggio 2009.

Sigurd Lewerentz, Cappella della Resurrezione, Skogskyrkogården, Stoccolma, 1921-25. Fotografia di Carlotta Torricelli, maggio 2009.