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Educazione di un architetto: many points of view

Enrico Prandi

Walter Gropius, Schema degli insegnamenti del Bauhaus, 1922

Walter Gropius, Schema degli insegnamenti del Bauhaus, 1922

Quando nel 1913 Adolf Loos scrisse La mia Scuola di Architettura, non senza astio nei confronti del regime accademico che gli ostacolava il libero insegnamento delle sue idee, la definisce la scuola di architettura Adolf Loos: “Invece del genere di architettura che si insegna nelle nostre università e che consiste in parte nell’adattare gli stili architettonici del passato alle esigenze della vita attuale, in parte nella ricerca di un nuovo stile, io voglio impostare il mio insegnamento sulla tradizione.” (1). Un’idea di scuola, quella di Loos, fortemente individuale e basata sul coinvolgimento diretto degli studenti nel lavoro dello studio professionale non dissimile da ciò che è avvenuto nella bottega rinascimentale.

Differente, invece, è la portata della pedagogia formale che Walter Gropius adotta nella conduzione del Bauhaus da lui fondato e diretto dal 1919 al 1928. Il rigore scientifico del metodo Gropius è solo apparentemente antitetico ad una visione dell’insegnamento dell’architettura basato sulla libera espressione intesa come “possibilità del realizzare” e regimentata dallo stretto rapporto con l’arte locale, l’industria e la società. La forma non ha un valore intrinseco in quanto tale ma si carica di significati come risultante di un processo più ampio. La didattica del Bauhaus si basa sul principio della non-figuratività, cioè di una forma che non è ma si fa in cui il processo formale è appunto il processo nel suo divenire. “… in architettura il valore si sposta dallo spettacolo della forma realizzata allo schema generatore della forma, alla planimetria, al principio di divisione e distribuzione dello spazio; quello schema condiziona l’esistenza dell’individuo che abita lo spazio dell’architettura, la costringe ad attuarsi fin nei minimi atti su un certo piano di civiltà, la traspone da una condizione di mero naturalismo ad una condizione di piena socialità.” (2). Un passo avanti nella direzione di un insegnamento radicato nella cultura tradizionale ma proiettato nel futuro di una società moderna che esige un’architettura moderna.

Nel 1961 Ernesto Nathan Rogers invoca la carica utopica applicata al cambiamento della realtà come azione critica all’Accademismo corrente: “Nelle scuole di architettura (…) occorre approfondire il concetto di realtà e considerare come reale ogni ragionevole superamento dei confini contingenti”. Nella sua visione la Scuola è “un attivo servizio del complesso sociale che ha per finalità la ricerca: un laboratorio dove si produce cultura” (3). E’ la linea di ricerca che Guido Canella adotta a partire dagli Anni Sessanta al Politecnico di Milano indagando sulle principali tipologie di edifici pubblici (Carcere, Scuola, Museo, Teatro, Università) in rapporto alla città e alla realtà territoriale (4) e che si ricollega all’esperienza veneziana che il Gruppo Architettura (Aymonino, Canella, Rossi, Semerani, Polesello, ed altri) a partire dagli anni Settanta conducono sulle tematiche del rapporto architettura-città-territorio (5).

Mentre in Italia ricerca universitaria e contesto territoriale si articolano fondendosi nello studio dell’architettura e della città, la Cooper Union School of Architecture attraverso un’esposizione al Museum of Modern Art di New York (1971) dichiara un’impostazione didattico-pedagogica basata su un’idea di avanguardia che stava nascendo. Una Scuola, un Programma condiviso ed una confluenza di interessi attorno all’architettura che ne fecero per certi aspetti un’esperienza vicina a quella del Bauhaus di Gropius. Nel catalogo che accompagnava la mostra Education of an architect: a point of view (The Monacelli Press, New York 1971) John Hejduk stila un programma in cui ogni esercizio dei 3 previsti, The Nine Square Grid Problem, The Cube Problem, The Juan Gris Problem, apporta progressivamente conoscenza delle problematiche teoriche e pratiche dell’architettura: dalle più elementari/concettuali, alle più complesse/tecniche. Se Gropius costruisce la sua idea di Scuola/architettura attingendo dal mondo culturale della Germania degli anni Venti, soprattutto per l’aspetto del rinnovamento degli aspetti produttivi dell’Arte e dell’Architettura, John Hejduk attinge all’avanguardia artistica newyorkese degli anni Settanta ponendo al centro della sua ricerca. Anche per Hejduk, comunque, è assentibile ciò che Argan scrisse a proposito di Gropius: “E’ impossibile (…) separare il momento teorico dal momento creativo o dal momento pedagogico: ciascuno dei suoi edifici, dei suoi programmi urbanistici, dei suoi interventi (…) è insieme formulazione teorica, applicazione pratica, atto creativo.” (6).

All’opposto dell’astrattismo autoreferenziale della Cooper Union, l’Insitute for Architecture and Urban Studies di New York, fondato da Peter Eisenman nel 1967 è l’istituzione che occupandosi dell’analisi e la critica dei problemi dell’architettura e dell’urbanistica, riallaccia il dibattito tra vecchio e nuovo mondo veicolato attraverso la rivista ufficiale Oppositions. E’ su quelle pagine, infatti, che Manfredo Tafuri e Colin Rowe, Aldo Rossi e Peter Eisenman, Bob Venturi e Rem Koolhaas si misurano sul terreno di un dibattito teorico che coinvolge i temi urbani dell’architettura e della città.

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Ognuna di queste esperienze, temporalmente e geograficamente distanti tra di loro, nell’introdurre elementi di novità e particolarità rispetto ad una condizione preesistente – ed in ciò è implicito un positivo ruolo di critica dell’istituzione scolastica alla realtà – hanno contribuito alla costruzione di un’idea di Scuola di architettura basata su una forte identità propria, frutto di un programma di studi ponderato secondo una precipua specificità e in cui la direzione o alcune figure-guida carismatiche assumono un ruolo culturale importante. Se da un lato alcune delle innovazioni introdotte, costituiscono ormai la base condivisa della moderna Scuola di Architettura, il pericolo di un ripiegamento teorico su se stessa, che sfocia spesso nell’astrattismo conseguente alla disgiunzione dalla realtà concreta, porta come conseguenza ad una pericolosa cultura della forma, della pura immagine e del “tutto è possibile”. Derive, queste ultime, che nonostante i legittimi “many points of view” andrebbero evitate soprattutto nei luoghi preposti alla formazione della prima coscienza critica del futuro architetto.


(1) Adolf Loos, La mia scuola di architettura, 1913, ora in Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972, p. 262.
(2) Giulio Carlo Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, Einaudi, Torino 1951, p. 82.
(3) Ernesto Nathan Rogers, Utopia della realtà, (1961), in Editoriali di architettura, Einaudi, Torino 1968, p. 270.
(4) Ne sono testimonianza alcuni testi chiave come L’utopia della realtà. Un esperimento didattico sulla scuola primaria (Leonardo da Vinci, Bari 1965), Il sistema teatrale a Milano (Dedalo, Bari 1966) e Università. Ragione contesto tipo (Dedalo, Bari 1975).
(5) Si vedano le pubblicazioni del Gruppo Architettura, Per una ricerca di progettazione 1-7 (1969-1974), IUAV, Venezia.
(6) Giulio Carlo Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, op. cit., p. 12.



Prandi Enrico è Ricercatore in Composizione architettonica e urbana alla Facoltà di Architettura di Parma e coordinatore del Festival dell'Architettura.


John Hejduk, The Nine Square Grid Problem: schemi dell'esercitazione, 1971

John Hejduk, The Nine Square Grid Problem: schemi dell'esercitazione, 1971