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La trasformazione della città europea

Reti urbane e mercato globale

Nicola Marzot

La nuova stazione Centrale di Amsterdam

La nuova stazione Centrale di Amsterdam

A dispetto delle visioni millenariste di fine secolo, che teorizzavano la dissoluzione dell’urbano quale ineludibile effetto indotto dall’economia globale, le città mostrano una inesauribile vitalità e continuano a essere i motori dello sviluppo economico e culturale del territorio, consolidando il proprio ruolo attraverso l’aggiornamento dei modelli insediativi e indirizzando gli investimenti verso settori ritenuti strategici nel quadro della nuova competizione mondiale.

Nel corso degli ultimi tre decenni, i fenomeni di trasformazione urbana hanno investito la città attraverso il coinvolgimento di soggetti attuatori molteplici - i cosiddetti stakeholders - portatori di interessi specifici in grado di alimentare dinamiche socio-economiche reciprocamente conflittuali e di orientare fortemente la scena politica. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, il processo di sistematica dismissione di importanti comparti industriali, distintivo del passaggio da una economia di prodotti a quella di servizi, libera un numero rilevante di aree strategiche in prossimità del tessuto urbano consolidato. In virtù dello slogan “la costruzione della città nella città” vengono sperimentate le prime forme di parternariato pubblico/privato che privilegiano i centri urbani maggiori a dispetto dell’area vasta. Si collocano in tale scenario - a titolo esemplificativo - i programmi di ricostruzione di Parigi, Berlino, Barcellona e Londra. Le imprese di costruzione riqualificano la città sfruttando consistenti rendite di posizione – ovvero “assolute” – concorrendo a consolidare il ruolo delle aree economicamente e simbolicamente trainanti, senza introdurre sostanziali innovazioni nella filiera edilizia, per quanto apprezzabili possano risultare gli esiti raggiunti sul piano della qualità degli spazi.

Nel corso degli anni Novanta l’attenzione degli amministratori e dei tecnici si sposta progressivamente verso il paesaggio, alla ricerca degli effetti indotti dalle politiche di ridislocazione del terziario avanzato, promosse durante la fase precedente. Il concomitante consolidarsi del sistema della grande distribuzione avvia un progressivo ridisegno del territorio, polarizzato dalle grandi piattaforme infrastrutturali. L’effetto indotto genera l’inarrestabile dilagare della “città diffusa”, per quanto ancora funzionalmente e morfologicamente dissociata dalle forti concentrazioni specializzate. Emblematico, di tale stagione, risulta essere il programma VINEX promosso dal governo olandese. Le città maggiori cominciano a perdere importanti risorse socio-economiche, in ragione degli incrementi di valore del mercato immobiliare, ma non liberano ancora servizi pregiati a vantaggio dei nuovi abitanti, se non in misura del tutto marginale. In tale fase i centri minori dell’hinterland, all’interno di una legittimata dimensione metropolitana, cominciano a ripopolarsi, mentre gli interlocutori privilegiati dal processo di trasformazione sono, sostanzialmente, soggetti altamente qualificati nella realizzazione dei poli funzionali.

All’approssimarsi del terzo millennio lo scenario muta considerevolmente. I fattori qualificanti l’effetto urbano cominciano a svilupparsi attorno alle polarità a forte specializzazione d’uso, che progressivamente assumono i caratteri di nuclei proto-urbani attraverso una offerta integrata. Gli insediamenti minori beneficiano, di riflesso, del processo di decentramento - residenziale, terziario, di servizio e di attività per il tempo libero - entrando in competizione con realtà urbane di consolidata tradizione. Si comincia a prefigurare un sistema “policentrico”, ma gerarchizzato, all’interno del quale ogni polarità cerca di emergere sulla base di un evidente tratto distintivo che la renda, in una certa misura, unica. I nuovi soggetti attuatori rispondono a economie di scala essenzialmente riconducibili alla dimensione dell’industria immobiliare, a fronte della complessità gestionale dei fenomeni indotti. La richiesta di infrastrutture va, pertanto, nella direzione di un consolidamento della “rete di città”. Vengono meno le rendite di posizione tradizionali, mentre si moltiplicano quelle connesse alla diversificazione delle opportunità garantite dal sistema intermodale e dalla qualità dei servizi offerti. Si tratta di un processo spontaneo, non pianificato, sostanzialmente privo di una visione politica a esso coerente.

La “rete di città”, per quanto espressione della cultura urbana moderna, ne contraddice alcuni presupposti teorici. Pur riconoscendo nella discontinuità del sistema insediativo un prerequisito implicito nel sistema della grande distribuzione intermodale, essa sostituisce alla specializzazione funzionale l’integrazione dei programmi; promuove la densità come moltiplicatore delle opportunità di investimento, contraddice la stereotipata identificazione tra proprietà individuale e ricchezza; riconosce nel pubblico un partner della trasformazione e identifica nei fenomeni di contrazione e dispersione insediativa recto e verso di una stessa realtà, in cui il concetto di sostenibilità deve essere ripensato sullo sfondo di una scala di relazioni, non solo temporali, sempre più estesa e complessa.


Nicola Marzot, Ricercatore in Composizione architettonica e urbana alla Facoltà di Architettura di Ferrara

Il circuito urbano della Randstad - ZOOM

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