Festival dell'architettura magazine

News:

    sezione in fase di aggiornamento ...

Ti trovi in: Home page > Archivio Magazine > Il vecchio e il nuovo nel mondo

Il vecchio e il nuovo nel mondo

Sulle influenze reciproche tra Brasile e Europa

Angelo Bucci

Angelo Bucci, Albero, 2010

Angelo Bucci, Albero, 2010

Sostanze
Loro sono noi.
Prima erano gli abitanti del vecchio mondo, noi viviamo nel nuovo.
[Si noti che le espressioni temporali - vecchio e nuovo - sono state utilizzate in questo caso per descrivere due luoghi nello spazio. Due luoghi coesistenti che si guardavano senza potersi vedere. Come se le caravelle, anziché attraversare il mare, avessero attraversato il tempo. Come se tempo e spazio si confondessero da sempre.]
Ai nostri occhi loro erano Dei; ai loro non eravamo nulla.
Loro uccidevano per aprirsi il cammino; noi eravamo cannibali per appropriarcene.
Loro vestiti. Noi nudi.
Quanto pesavano loro quelle vesti? Quegli indumenti erano necessari nel loro paese di origine? E anche se laggiù fossero stati necessari, la stessa cosa sarebbe accaduta nella nuova terra in cui sarebbero giunti? erano ancora necessari nel luogo dove sono giunti? Cosa gli coprivano esattamente? E perché non potevano mai liberarsene di quello? E perchè non potevamo mai liberarsene? Quanto di ciò era protezione e quanto era costrizione?

Un albero mitico
Penso ad un albero con una chioma alla sommità di un tronco forte e molto corto che, immensa, coi suoi rami si apre verso il cielo alla ricerca di luce. Sottoterra, la chioma sembra essere stata specchiata nelle radici che si distendono sotto terra alla ricerca di quanto il terreno può offrire. Le radici si aprono proprio al di sotto di quel tronco corto, così corto da sembrare contenuto nello spessore della linea dell'orizzonte, in quel punto in cui dove terra e cielo si toccano. Le radici e i rami vanno in direzioni opposte e, cosa importante, lo fanno simultaneamente. In questa opposizione chi sostenta chi?
Evoco l'immagine dell'albero per rappresentare la nostra relazione con la storia nel momento dell'azione. In quest'immagine il suolo dove affondano le radici sarebbe il passato. Il cielo dove si estendono i rami sarebbe il futuro. Il tronco cortissimo e compresso tra l'una e l'altra cosa sarebbe il presente.
E se potessimo sezionare quell'albero lungo l'unica linea contenuta in tutta la lunghezza del tronco e ancora – miracolosamente – le sue radici continuassero a lavorare e la sua chioma continuasse verdeggiante e fiorire e dare frutti? E se, quindi, separassimo una cosa dall'altra? Mantenendo le radici nel suolo storico e ricchissimo del vecchio mondo, la chioma crescerebbe esuberante nel nuovo mondo. E se continuassimo a smembrarla in parti e lei continuasse a crescere? Così, se piantassimo un fascio di radici in altri suoli, germogli e rami si moltiplicherebbero in altre parti del mondo. E così, se la pianta traesse nutrimento da suoli distinti, tutti potremmo sfruttarne fiori e frutti. 
Questo nostro albero mitico rappresenta bene quanto abbiamo sperimentato, ad esempio, in quanto segue.

L'archeologia di Brasilia
In quale suolo dovremmo scavare per ricostruire l'archeologia della città di Brasilia? A volte, lo stesso suolo può sembrare astratto. In questo caso non vi è dubbio: non sarebbe scavando il suolo dell'altipiano centrale brasiliano che ricostruiremmo la storia di quella città. Dall'altro lato, se perforassimo il suolo culturale dove si è elevata, l'assaggio si mostrerebbe ricco di moltissimi indizi. Qui sì che incontreremmo la storia nei multipli strati che formano la sua base culturale. Si tratta di alcuni strati densi, alcuni più sottili, in funzione di quanto ognuno di essi ha a che vedere con i valori, i mezzi tecnici e gli elementi coinvolti nella concezione di quella città fondata in un territorio geografico, per così dire ingenuamente, vergine.
[Ma per favore tutto ciò che si costruisce, anche se fosse costruito su un altro pianeta, porta con sé il suo passato storico come se fosse un codice da cui non possiamo separarci].

Ciò che non appartiene ad alcun luogo
Quando un architetto progetta è come se facesse un discorso. E' come se il progetto fluisse in modo concatenato: come un discorso. Questo discorso si struttura nel campo della tecnica con i mezzi costruttivi e, nel campo simbolico, per immagini. Lungo questo processo, l'architetto ripercorre un determinato – in quanto scelto – passato storico.
In questa prospettiva, la storia non è un lascito imposto, ma un mezzo di cui si serve. In quel momento, la storia è priva di cronologia; è come se il tempo si appiattisse e tutto ciò che esiste, o si conosce, costituisse l'arsenale di cui il progettista si serve per perseguire uno scopo. Ma attenzione: determinare antefatti è una condizione eminentemente moderna. In questo contesto gli antefatti non appartengono a nessun luogo. Al contrario la storia si offre a tutti. La scelta del passato presuppone anche un giudizio critico e attento rispetto al patrimonio culturale. E’ come se tanti antecedenti fossero gli abiti coi quali ci vestiamo e che rappresentano, al contempo, la nostra libertà e il nostro carcere. Stesse parole per discorsi inascoltati.

La forza del luogo
Dall'altro lato ci sono i luoghi. Ci sono contesti dove un determinato discorso ha maggior pertinenza rispetto ad un altro, dove una determinata parola acquista maggior risonanza all'interno del discorso. Il contesto, con le sue sfumature culturali, le sue traiettorie storiche particolari, le sue geografie e specificità climatiche. Con le sue caratteristiche intrinseche, delinea le ragioni che fanno sì che una proposizione architettonica sia dotata di pertinenza e risonanza. Sia più sentita e capita.
Quindi, il patrimonio che condividiamo universalmente, si configura, in quanto sensibile alle specificità del contesto, come un discorso pertinente. È così che si strutturano le opere notevoli.
E' così che al contrario le opere dotate di radici più profonde nel contesto in cui sono state create si universalizzano per poter così costruire il nostro passato o l'arsenale propositivo che condividiamo.

Per questo oggi possiamo dire:
noi siamo tutti.

 

Angelo Bucci, Architetto e Docente alla Facoltà di Architettura di San Paolo del Brasile