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VISIONI DELLA VIA EMILIA

L’immagine della strada nelle arti visive, nel cinema e nella fotografia

Marco Bellocchio, I pugni in tasca (1965)
Marco Bellocchio, I pugni in tasca (1965)
È noto che, nel Battistero di Parma, Benedetto Antelami ha composto diversi cicli figurativi. Infatti, mentre l’interno ospita, in una collocazione ancora oggi discussa, la serie delle 14 figure dei Mesi, il basamento esterno, in marmo bianco veronese, è percorso dallo zooforo, una fascia di 75 riquadri a rilievo popolata da
una sequenza di animali reali e fantastici. Questa straordinaria alternanza di registri immaginativi può servire, ancora oggi, come introduzione ai campi diversi e più moderni del cinema e della fotografia applicati al tema della Via Emilia.
Negli anni ’50 la rinascita del ruolo di asse economico nazionale della strada si riflette nella stesura di un soggetto cinematografico di Cesare Zavattini: Via Emilia (1951). Pur privo di un seguito è un precedente importante perché corrisponde al tentativo, ricorrente nello svolgimento del nostro tema, d’applicazione di spunti immaginari come elementi critici, disgregatori dell’ingiustizia banale della realtà. La condizione provinciale e il rapporto con la metropoli lontana, luogo di una possibile redenzione, diviene uno dei temi
Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione (1964)
Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione (1964)
dominanti del cinema italiano del dopoguerra con il capolavoro giovanile di Federico Fellini, I vitelloni (1953). Nel decennio successivo la crescita economica applicata ai centri urbani della via Emilia vede l’elaborazione in forme dichiarate del conflitto generazionale, sullo sfondo analogico del rapporto città territorio, quale nucleo del possibile rinnovamento della società italiana. Ne sono interpreti Bernardo Bertolucci con Prima della rivoluzione (1964) e Marco Bellocchio con I pugni in tasca (1965).

Di seguito il regista piacentino prosegue idealmente il viaggio lungo la strada spostandosi a Imola e allargando il campo d’analisi alla società intera, con La Cina è vicina (1967), mentre quello parmigiano porta a Sabbioneta la rappresentazione mitica borgesiana del dramma familiare nella Strategia del ragno (1970); in ogni caso lo sviluppo e l’approfondimento delle trame cinematografiche relegano in secondo piano l’unità del percorso della Via, e così sarà anche nei successivi lavori di Bernardo Bertolucci girati nella sua
Luciano Ligabue, Radiofreccia (1998)
Luciano Ligabue, Radiofreccia (1998)
regione: il grande affresco di Novecento (1976) e il dramma personale della Tragedia di un uomo ridicolo (1981). Occorre ricordare, però, ai nostri fini, che l’antico rapporto tra viandante e città, periferia e strada ha avuto nel cinema italiano di quel periodo un predente decisivo nel capolavoro singolare di Pier Paolo Pasolini Uccellacci e uccellini (1966), dove i due coprotagonisti, Totò e Ninetto Davoli, viaggiano a piedi nella periferia di Roma e lungo la Via Appia antica.
Tornando alla Via Emilia si può citare, ben più tarda e corrispondente ad un incremento d’interesse per il tema, l’opera filmica del cantautore Luciano Ligabue, Radiofreccia (1998), ambientata nella sua cittadina natale Correggio e nella vicina Novellara, dove la Strada ricorre più volte come teatro delle esperienze giovanili di ricerca di un proprio percorso mediatico, la costruzione di una radio libera, alternativo rispetto al modello prevalente delle offerte d’intrattenimento di puro consumo.  

Il tema della Via Emilia come spunto decisivo per opere cinematografiche è,
Luigi Ghirri, Via Emilia presso Modena, 1984 ca.
Luigi Ghirri, Via Emilia presso Modena, 1984 ca.
invece, affrontato direttamente nei quattro film documentari Via Emilia. Quattro film sull’Emilia Romagna (2003), curati da Francesco Conversano e Nene Grigaffini e frutto del lavoro di coppie di registi e scittori. Mondonuovo di Davide Ferrario con l’apporto di Gianni Celati viaggia nei paesi del Po di Narratori delle pianure, volutamente fuoristrada dato che “l’unica maniera di viaggiare è perdere la strada”; Due o tre cose che so di lei. La Romagna di Tonino Guerra è il racconto, girato da Conversano e Grignaffini, del rapporto del celebre scrittore-sceneggiatore con la sua personale “regione”; Bologna e Bologna, degli stessi registi, esamina attraverso le parole e la voce di Roberto Roversi le condizioni attuali della città e la sua crescente difficoltà ad interpretare il ruolo metropolitano; infine, Segni particolari: appunti per un film sull’Emilia-Romagna di Giuseppe Bertolucci filma il racconto di Carlo Lucarelli, sullo sfondo dell’autostrada e del continuo movimento di uomini, veicoli e merci, del ruolo della regione e della sua Strada, insieme alle immagini della proiezione cinematografica di un documentario di Enzo Biagi sul passaggio dalla vecchia civiltà contadina a quella di un futuro consumo responsabile. Questo continuo passaggio dal passato al presente lungo la stessa strada è, in altre parole, la cosciente enunciazione critica del presente e del possibile
Giovanni Chiaramonte,  Ponte sulla Via Emilia, da Giulio Bizzarri - Eleonora Bronzoni (a cura di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, Feltrinelli, Milano 1986, p. 57.
Giovanni Chiaramonte, Ponte sulla Via Emilia, da Giulio Bizzarri - Eleonora Bronzoni (a cura di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, Feltrinelli, Milano 1986, p. 57.
avvenire della Via e della vita della sua regione.

Nella fotografia il tema della Via Emilia è stato decisivo come punto di passaggio a nuovi linguaggi e forme di rappresentazione del reale e nuove figure professionali. Trova qui realizzazione una linea di sviluppo alternativa rispetto all’orientamento neorealistico o storico di denuncia delle contraddizioni del fenomeno sociale e orientata piuttosto sulla documentazione critica delle opere artistiche e delle parti urbane. Va in questa direzione la ricerca di Paolo Monti prima applicata all’architettura del Dotti, al censimento fotografico del centro storico di Modena, poi chiamata da Andrea Emiliani a illustrare l’intero patrimonio regionale Dal museo al territorio (1974), infine concentrata su Pieve di Cento. Meno sistematico e più incline ad illustrare l’ambiente umano e la singolarità dei caratteri urbani è Carlo Bavagnoli nelle immagini delle città emiliane più occidentali. È però da quella città di mezzo, al centro della pianura, che è Reggio Emilia che proviene il fotografo che più d’ogni altro pone il tema della via Emilia al centro della propria opera: Luigi Ghirri. Negli anni ’80 mette a frutti il lavoro di preparazione del decennio precedente ed opera una sorta di rifondazione della fotografia di architettura e paesaggio, con un lavoro di discesa nello straordinario del quotidiano e insieme di scomposizione cromatica pittorica, come si vedrà ben accostabile alla poetica di Morandi, a partire da Viaggio in Italia (1984).

Nell’occasione stringe un legame profondo con Gianni Celati che in quel momento scrive Narratori delle pianure. Con l’organizzazione della mostra Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio (1986) si ha una vera e propria fondazione del tema, nucleo centrale della sua costruzione pratica e teorica, che ha un successivo capitolo nel quaderno di Lotus Paesaggio italiano. All’esperienza si affiancano diversi compagni di viaggio: Olivo
William Guerrieri - Guido Guidi (a cura di), Via Emilia. Fotografie luoghi e non luoghi 1, Linea di Confine, Comune di Rubiera Editore 1999
William Guerrieri - Guido Guidi (a cura di), Via Emilia. Fotografie luoghi e non luoghi 1, Linea di Confine, Comune di Rubiera Editore 1999
Barbieri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi, Vittore Fossati, Mimmo Jodice, per citarne solo alcuni, chiamati a integrare e condividere lo sviluppo collettivo di un’immagine della strada e della sua architettura, in cui l’istante del quotidiano è avvenimento storico e il presente è coscienza della realtà paesistica.

La tematica così fortemente indirizzata ha trovato diversa continuazione nella ricerca collettiva, fondata da Paolo Costantini, della Linea di Confine, che raggruppa diversi centri del territorio reggiano, e si pone, dalla sua sede dell’Ospitale di Rubiera, come nucleo di diffusione della ricerca fotografica anche su questo tema, attraverso laboratori e pubblicazioni (ricordiamo sul tema della Strada e dei suoi territori i due volumi curati da William Guerrieri e Guido Guidi Via Emilia. Fotografie luoghi e non luoghi).

Il tentativo di rappresentare l’identità della Via come elemento sintetico della pluralità dei paesaggi regionali ha portato infine, in Nino Migliori Crossroads. Via Emilia, Passaggi & Topografie (2006), all’uso di apparecchi accoppiati in grado di restituire l’immagine dei fronti contrapposti, descrivendo la realtà della continua trasformazione identitaria come sintesi di elementi spesso in opposizione.

Inalterata resta la profondità del campo e la chiarezza della fotografia nella rappresentazione del carattere ossimorico della Via Emilia, la compresenza della persistenza rettilinea del suo tracciato e della variazione continua della costruzione del suo paesaggio.
Nino Migliori, Arco di Augusto, Rimini, da Crossroads. Via Emilia, Passaggi & Topografie (2006).
Nino Migliori, Arco di Augusto, Rimini, da Crossroads. Via Emilia, Passaggi & Topografie (2006).

 

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