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19/04/2024
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LUCE E PROGETTO

L. Fontana, Ambiente spaziale, Triennale 1961, Courtesy Fondazione Fontana - ZOOM
L. Fontana, Ambiente spaziale, Triennale 1961, Courtesy Fondazione Fontana
Luce e spazio: la ricerca artistica in Italia tra anni ’50 e ’60.

-Gli anni Cinquanta, la pittura ambientale e il ruolo della luce negli Ambienti spaziali di Lucio Fontana.

Fra le critiche svolte nei confronti del funzionalismo modernista, a partire dal II dopoguerra, centrale è l’accusa di aver svolto un’indagine statica e semplificata nei confronti dei bisogni dell’uomo-fruitore, inadeguata ad affrontare veramente gli aspetti materiali dell’esistenza, mentre il vocabolario espressivo e razionalista aveva rinunciato ad indagare le possibilità morfologiche e simboliche di uno spazio complesso e multidimensionale. La negatività e il fallimento del moderno funzionalismo, esauritosi nel misticismo igiene + estetismo (Bauhaus, Le Corbusier eccetera) porterà, a partire dal II dopoguerra, con le poetiche dell’Action Painting e dell’Informale, alla ricerca, da parte dell’artista, di cercarsi uno spazio, di ritagliarsi un ambiente proprio, in cui agire, sull’onda di un generale riflusso individualistico. Un ambiente che, da Pollock a Fontana, viene sempre più a connotarsi come cella d’isolamento o perimetro chiuso di sperimentazione: la pittura diventa ambientale. Ecco che l’uso della luce, in questo filone di ricerche e progetti, gioca un ruolo fondamentale, proprio a partire da Fontana in cui si assiste alla creazione-costruzione di ambienti spaziali reali dove certo giocano un ruolo forte la rilettura di alcuni momenti e linguaggi delle avanguardie storiche: le ipotesi di ricostruzione dell’universo e le elaborazioni di spazi diversi del futurismo, particolarmente l’influsso della cultura tardobarocca e del materismo boccioniano con le ipotesi di spazi solidi e sensuali: la materia entra nella vita, diventa elastica e animata e coinvolge lo spazio che accoglie la materia.

1948-1949, Milano, Galleria del Naviglio: Lucio Fontana Ambiente spaziale con forme spaziali e illuminazione a luce zero: stanza completamente dipinta in nero, all’interno della quale sono appese forme di carattere sinuoso ed organico, ricoperte di colori diversi ed illuminate-fluorescenti dalla luce nera di Wood. Caratteristiche dell’ambiente:

-concretizzazione delle forme luminose attraverso gli spazi

-attività motoria del pubblico che, rilevata attraverso la luce di Wood, si integra con gli elementi nello spazio

-dicotomia tra contenitore e segno contenuto: l’involucro diventa monocromo e annulla i suoi confini attraverso l’oscurità, si quantifica NON attraverso la superficie MA attraverso il vuoto

-consapevolezza della realtà corpuscolare dello spazio e della luce che diventano, nell’ambiente, concrete e percettibili: nuovo valore ottico ai corpi di luce ed all’ambiente vuoto

-lo spessore della luce e del vuoto rafforzano la sostanza dei corpi, la cui esistenza si stabilisce in relazione al campo di energia che li accoglie (vedere anche tangenze con: Manzoni ed Arman)

-la quantificazione del vuoto pone il problema della sua classificazione rispetto alla luce, al suono ed alle incidenze emotive dello spettatore-fruitore

1951, IX Triennale di Milano, Lucio Fontana in collaborazione con l’architetto Baldessari, intervento per lo Scalone: elaborazione di un tubo fluorescente in cui passa il gas neon, dissolvendo i confini parietali e tracciando un segno spiralico continuo. Caratteristiche dell’ambiente:

· le pulsazioni del neon quantificano luminosamente il vuoto, il groviglio di tubi fluorescenti è appeso al soffitto e rende lo spazio un vuoto architettonico

· massima evoluzione riduttiva delle sue ricerche ambientali, lo spazio diventa luce, la luce si fa spazio (futurismo)

1961, Torino, Lucio Fontana Soffitto nel Padiglione delle fonti di energia “Italia 61”: valore freddo e riduttivo della luce, contatti con successive ricerche cinetiche e minimal, e

Ambienti spaziali del 1964 e del 1967: oggetti materici sostituiti da buchi virtuali dipinti a più colori fluorescenti.

In occasione del Congresso Internazionale delle Proporzioni nella medesima Triennale milanese del 1951 Fontana legge il proprio Manifesto Tecnico, che riprende i motivi del Manifesto Blanco della fine del 1946, insistendo sulla natura di denominatore propria dello spazio e del tempo, e tuttavia significativamente aprendo anche alla problematica di una dissoluzione spaziale dell’architettura, tradizionalmente intesa in senso gravitazionale. Se il cemento armato ha rivoluzionato stili e statica dell’architettura moderna, pure a questa “nuova architettura” subentrerà qualcosa che ne sia oltre, cioè “un’arte basata su tecniche e mezzi nuovi”: esattamente “un’arte spaziale per ora, neon, luce di Woodtelevisione, la quarta dimensione ideale dell’architettura”.

Dagli ambienti realizzati da Fontana dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Sessanta – con luce di Wood e luce al neon, deriva la consapevolezza della polarità ambientale: la percezione dell’ambiente, una volta smaterializzato, non solo dà luci e colori, suoni e odori, ma segue e manifesta l’esperienza del singolo.

La parificazione e l’interazione degli elementi sensoriali sarà elemento ricorrente delle ricerche degli anni Sessanta, attente al ruolo dello spettatore.

-Da Frederick Kiesler all’Internazionale Situazionista (da Gallizio a Constant): il superamento delle poetiche dell’Informale – il ruolo giocato dalla luce naturale e i diversi significati della luce artificiale.

Nel corso degli anni Cinquanta, accanto alle sperimentazioni sulla luce artificiale, la luce naturale ritorna ad essere utilizzata come strumento per la creazione di modellazione dei luoghi del sacro (civili e religiosi) partendo da una riflessione sugli archetipi e sui rituali quotidiani collettivi e privati

La luce diviene cioè segno e forma di un ambiente ripensato quale nucleo vitale dell’individuo, ambiente come grotta-ventre-caverna, luogo dell’origine e della trasformazione di impulsi vitali e libertà espressive.

In quest’ottica, e per le interazioni che anche questo filone di ricerche, parallele e complementari a quelle intanto perseguite da Fontana, hanno giocato nei confronti dei progetti degli anni Sessanta, sono da intrecciare le ricerche di Frederick Kiesler che teorizza un’architettura magica che ha radici nella totalità dell’esistenza umana, stabilendo a partire dalle critiche al Razionalismo la necessaria elaborazione di una teoria dell’architettura capace di introdurre la complessità materiale e linguistica del mondo, proponendo:

- una filosofia dell’ambiente nuova, chiamata Correalismo;

- una teoria dell’arte e dell’architettura focalizzata sul processo, anziché sull’oggetto, chiamata endless, infinita;

- una ricerca sulla forma aperta, sulla poetica della galaxy.

La luce naturale e artificiale, convogliata e condotta dalle forme delle sue architetture (partendo da una ricerca sullo spazio del teatro ad una visione urbana) viene pensata e progettata nei termini mitici dell’archetipo piuttosto che in quelli della costruzione e di strategia della produzione industriale. Con il modello di Endless House del 1950, a forma ovoidale in creta, Kiesler infatti evocava il concetto di grotta primitiva controbilanciandolo con un sistema di illuminazione che trasformava la casa in un occhio gigantesco in grado di captare scomporre e diffondere all’interno la luce solare mediante un prisma di cristallo mobile; era anche questa la architettura con cui Kiesler iniziava ad essere ampiamente riconosciuto a livello internazionale: l’ultima versione del 1959-1960 veniva esposta alla famosa mostra Visionary Architecture del 1960 sempre al MOMA, alla quale partecipavano anche Bruno Taut, Frank Lloyd Wright, Buckminster Fuller e Le Corbusier. Lo spazio interno della casa diventava così stimolatore di esperienze sensoriali nuove, rigenerative delle forze vitali degli utenti stessi, essendo questa la funzione basilare della casa per Kiesler: rigenerare quotidianamente le forze vitali dell’uomo attraverso il raccoglimento ed il riparo nella grotta primitiva e proiettare contemporaneamente questo spazio raccolto nell’infinito planetario che lo circondava.  Centrali in questo senso le ricerche degli artisti ruotanti attorno all’Internazionale Situazionista, in particolare Pinot Gallizio che nella Caverna dell’Antimateria realizzata ad Alba nel 1958 fa giocare alla luce un ruolo fondamentale nella definizione del guscio antifisico e molecolare, nell’elaborazione di un antimondo atomico, nell’interazione delle componenti elettroniche e musicali: “…Nella mia caverna basterà uno specchio, pieno, concavo o convesso per creare un labirinto a nostro piacere; un gioco di luce creerà nuove immagini fantastiche. La luce sarà ultravioletta, normale, infrarossa calda, alta-bassa, riflessa su superficie metallica esterna, portata infine dagli spettatori a mo’ di torcia…”. La valenza energetica tra le stimolazioni sensoriali è equivalente, forte peso è svolto dalla tradizione gotica dall’Espressionismo al primo Bauhaus del Werkbund.

La luce nelle sue possibili applicazioni – neon, luce di Wood, luce naturale convogliata attraverso l’architettura – durante gli anni Cinquanta gioca allora un ruolo fondamentale nella eliminazione di uno spazio ambientale rigido, a tre dimensioni. Da Fontana a Gallizio si aprono i limiti del cubo ambientale, con le sperimentazioni attorno alla deambulazione ed allo spostamento del fruitore nell’ambiente e con le ricerche sull’architettura mobile e sull’architettura corporale (da Friedmann ad Hausrucker & Co.).

-Gli anni Sessanta: la luce nelle ricerche optical e cinetiche, la luce e l’environment

È all’inizio degli anni Sessanta che la luce artificiale diventa protagonista della ricerca di numerosi artisti, il cui punto di partenza pare essere individuabile ancora nell’uso della luce come definizione di spazio e di vuoto che partiva con Lucio Fontana e che ora si traduce in ambienti ottico-dinamici, a svolgere un ruolo centrale nelle successive elaborazioni della metà degli anni Sessanta – dagli Environments ai Piper agli Spazi di coinvolgimento, ma che confluiranno anche nel Minimalismo.

Le ricerche optical e cinetiche verranno analizzate soprattutto attraverso il percorso delle principali manifestazioni:

- 1962, Amsterdam, Salon de Lumière

- 1961-1963-1965, Zagabria, Nova Tendencija

- 1963 Biennale di San Marino

- 1965 New York, The Responsive Eye

- 1966, Eindhoven, Kunst Licht Kunst

- 1967, Foligno, Lo Spazio dell’Immagine

- Biennali veneziane 1964, 1966, 1968

- Documenta 4 Kassel 1968

Il trasferimento del fruitore al centro dell’oggetto da fruire sembra l’elemento comune di tutte le realizzazioni ambientali degli artisti programmati, che ampliano così la sfera dei sensi messi in gioco nel rapporto opera-pubblico.

A partire da queste premesse, logica conseguenza è la trasformazione dell’artista in ideatore-produttore di un meccanismo di immagini in movimento reale o virtuale, impegnato in un lavoro che richiedeva una sempre maggiore conoscenza dei materiali tecnologici (colore compreso) e degli elaborati elettronici.

Unico evento verificabile, praticabile, classificabile diventa quello del rapporto fra opera e fruitore. L’ambiente viene allora inteso come environment: spazio visuale e campo perfettamente progettato in cui lo spettatore estraniato dal mondo esterno si trova coinvolto con le proprie facoltà psico-percettive in esercizi e situazioni estetiche.

L’ambiente costruito con assoluta artificiosità contiene così oggettivazioni spaziali essenzialmente proiettive, ottenute con luminosità in movimento o fisse, con illusionismi ottici programmati.

Ma oltre alle strutturazioni programmate, negli environments delle ricerche visuali e cinetiche molto forte è l’elemento della sorpresa spontanea, dello stupore meraviglioso, del divertimento ludico, delle programmazioni ipnotiche, del tutto teso a realizzare uno spazio come evento continuo che inestricabili mobilità spazio-temporali rendono infinito.
 

LO SPAZIO DELL’IMMAGINE

Foligno, Palazzo Trinci, 2 luglio-1 ottobre 1967

Catalogo della mostra, edizioni Artegrafica, Venezia, 1967

Comitato organizzatore: Giuseppe Marchiori, Bruno Alfieri, Giorgio De Marchis, Gino Marotta, Stefano Ponti, Lanfranco Radi, Luciano Radi.

Commissione inviti: Umbro Apollonio, Maurizio Calvesi, Giorgio De Marchis, Gillo Dorfles

Allestimento: Fabrizio Bruno

Artisti invitati:

Getulio Alviani, Alberto Biasi, Agostino Bonalumi, Davide Boriani (Gruppo T), Enrico castellani, Mario Ceroli, Gianni Colombo (Gruppo T), Gabriele de Vecchi (Gruppo T), Luciano Fabro, Tano Festa, Piero Gilardi, Gino Marotta, Eliseo Mattiacci, Romano Notari, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Gruppo MID, Gruppo ENNE, Paolo Scheggi.

Inviti speciali: Ettore Colla: mostra di sculture all’aria aperta; Lucio Fontana: ambiente spaziale nero (1949)

Ogni artista partecipante a questa mostra è stato invitato a realizzare un ambiente plastico-spaziale anziché ad esporre singole opere di scultura e di pittura. Il comitato organizzatore ha creduto di individuare in questo tema di ricerca proposto agli artisti un punto focale della situazione attuale.

Giuseppe Marchiori nella presentazione in catalogo delinea lo spartiacque del 1960 quale momento in cui più chiaramente si profilano il declino e l'esaurimento dell’esperienza dell’Informale: proprio le ricerche generalmente dette della Op art avevano dimostrato per prime reazioni positive, non confondendo arte e scienza, arte e tecnologia, esse operano per creare un sistema nuovo, ipotesi di spazio nuove e nessi necessari alla struttura di una nuova visione.

Umbro Apollonio parla invece di Oggetti plastici-visuali e loro predestinazione, sottolineando il problema della destinazione commerciale e spaziale di opere che per loro stessa natura sono ambienti ed installazioni. La creazione di ambienti nasce dalla volontà di analizzare la funzione degli oggetti e degli utensili all’interno dell’ambiente dal punto di vista del loro uso e delle loro connotazioni-interazioni con l’ambiente. Da qui emergono due tipologie di risposta: negativa, ovvero caratterizzata dall’assunzione del problema “rapporto oggetto-spazio” in termini ironico-distruttivi e superficiali (allusione ai linguaggi POP?), minima sollecitudine per una reale trasformazione del linguaggio; positiva, ovvero caratterizzata da volontà costruttive, ovvero attenta a progettare le forme meglio confacenti all’ordine accertato in potenza, ad uno spazio ampio e comprensivo, ad una comunità 0 civilizzata, dove l’individuo non sia estraniato o isolato o conformizzato. Così, prosegue Apollonio, se Malevich, Mondrian, Vantongerloo, Moholy-Nagy si riferivano ad un modello di schema organizzativo e di struttura linguistica, sulle loro ricerche si regolano le esperienze degli operatori visuali di “nuova tendenza”. Per l’operatore visuale l’opera ha da essere esatta, scientificamente verificabile, tale da realizzare quella finzione razionale messa in figura dove realtà e apparenza si fondono in un evento significante, dove l’apparato si vale di fantasia ma respinge qualsiasi fantasmagoria. Credendo alla interdisciplinarietà delle operazioni creative, vengono allora giudicate incongruenti e inaccettabili quelle forme che figurano uno spazio scenografico, si riducono a mero accomodamento ornamentale oppure a semplice applicazione dispositiva.

Maurizio Calvesi parte dall'indagine sulle Strutture del primario: l’arte muove al razionalismo una critica, seguendo Piaget e Petter (1966), da leggersi come “assiomatica della ragione”, ovvero nata non da un’assurda e incomprensibile mozione di irrazionalismo anarchico, ma come bisogno di un approfondimento e di una riscoperta di elementi fondamentali che il razionalismo ha necessariamente cancellati.

Questa esigenza si manifesta per Calvesi a partire dalla avanguardie storiche e parallelamente allo sviluppo della stessa linea razionalista (movimento moderno in architettura con cubismo, neoplasticismo, Bauhaus). La crisi del razionalismo innesca cioè il bisogno di recupero ed integrazione primario e delle sue strutture, dapprima in forma mitica (informale), poi sempre più dirette e concrete. Con strutture primarie Calvesi intende allora tutte le strutture elementari sia fisiche che psichiche, elementi fondamentali che l’arte di oggi propone coinvolgendoci anche spazialmente nel suo campo: dagli stessi elementi fisici e primordiali che alcuni artisti romani avevano appena introdotto nelle loro ricerche alla ventilata estetica psichedelica. In comune vi è l’aspirazione a recuperare un dato primordiale, inerente alla nascita di noi stessi, nel mondo [e da qui si comprende Kiesler, per esempio, nome anche secondo Dorfles troppo spesso dimenticato]! arIl rifiuto del razionale, proprio del dopoguerra e dell’informale, è stato disgusto per la tecnica, per l’industria, per il mondo moderno, identificato con il razionale e con la negazione del mito.

Mentre in Fontana, Burri e Pollock, il rapporto con lo spazio è intuito nella sua globalità, esso viene espresso più miticamente e simbolicamente che non nelle generazioni successive, a partire dagli oggettuali milanesi: per questi, la tela-oggetto agisce sullo spazio, gli impone le sue provocazioni luminose o i suoi suggerimenti plastici. Lo spazio esterno, non meno che lo spettatore, è il campo di queste tele-oggetti che creano dunque con l’ambiente, delle strutture globali di relazione.

Il principio di provocazione dello spazio è nato con Fontana, il primo a creare precise provocazioni di spazio reale, creando ambienti spaziali.

Lo spazio come campo di relazioni è il tema centrale anche dell’arte programmata, tipica forma dei procedimenti razionalisti e recupero del primario esercitato nelle strutture della percezione. D’altra parte, essendo il procedimento metodologico denunciato e condizionante il recupero stesso, la programmaticità della funzione di campo proposta dall’opera vieta che la relazione sia primariamente implicante. Anche lo specchio e le superfici irregolari e luminose coinvolgono le loro rifrazioni, lo spazio esterno ed il fruitore in un’ipotesi globale di campo, ma non vi è intenzione di programmare tutti i possibili eventi e le interazioni costituenti tale campo.

Interessando uno spazio che è quello di tutti, una dimensione spazio-temporale comune e non privata, l’arte di oggi anche quando esprime posizioni individuali è anti-individualistica per eccellenza, ha sempre la struttura di una esperienza aperta, diretta, collettiva, che implica relazione.

Elaborazione dei testi critici di Ilaria Bignotti

Citazioni dirette dai testi critici in catalogo:

· Gillo Dorfles, intervento non titolato:

Non è da oggi che una sottile uggia, una non ben definita insofferenza, insidia pittura e scultura di fronte al “quadro da cavalletto”, alla “statua soprammobile”: e quest’uggia, questa insofferenza, è ben lecita: in un’età come la nostra dove nuove forme espressive (cinema, TV) hanno invaso gli spazi, accorciato i tempi; dove le grandi scritte luminose hanno reso possibili figurazioni notturne su scala urbana; dove i grandi fotomontaggi, i cartelloni pubblicitari, hanno permesso la dilatazione dell’immagine figurale a dimensioni chilometriche, era prevedibile che l’artista visuale non potesse più accontentarsi dei pochi palmi di tela da dipingere a olio o a tempera, o del mucchietto di creta.

Anche se il singolo, autonomo, personalissimo segno estetico continuerà a sussistere in futuro, è sempre più evidente che il “quadro da cavalletto”, la “statua soprammobile” andranno degradando il loro valore a favore di quelle opere che potremmo definire “modulatrici di spazi”, sia che esse costituiscano quasi dei “contenitori spaziali”, sia che determino, attorno a sé, lo strutturarsi d’uno specifico spazio ambientale.

Il che - ed è bene sottolinearlo - non significa rispolverare l’antico e ormai ammuffito discorso lecorbusiano circa una “sintesi delle arti maggiori”, ma guardare alle nuove possibilità offerte, oggi - e più ancora domani - da tanti materiali inediti attraverso i quali si potrà giungere alla creazione di pareti estroflesse, di strutture luminose e cinetiche, di intere unità prefabbricate concepite con quella varietà formale che già oggi ci viene offerta dalla inesauribile gamma degli oggetti prodotti dall’industria. Ecco perché l’ambiente spaziale - o meglio l’immagine visuale concepita come spazialità ambientale - mi sembra uno dei modi più singolari di questo divenire dell’arte attuale.

Senza voler qui riandare alle diverse tappe storiche che hanno coinvolto alla situazione odierna (è ovvio che, dal futurismo allo “spazialismo” milanese, dal costruttivismo russo al neoplasticismo olandese si sono verificate innumerevoli premesse indispensabili all’attuale momento evolutivo) credo che meriti conto di sottolineare, in questa sede, come negli ultimi due o tre lustri gli esempi d’un tendere di molta arte d’avanguardia verso la creazione di “entità” spaziali ben determinate, siano stati vivaci e perentori: si pensi solo alle vere e proprie “pareti” costruite da Rothko…alle opere di Calder ideate sempre quali caratterizzatici ambientali o più ancora a quelle di Frederick Kiesler, questo troppo spesso dimenticato architetto-scultore, che già una ventina d’anni or sono ideava le sue “galassie” lignee entro cui si poteva stendere un’! amaca e dormire o le sue “case senza fine”, grandi sculture cave e percorribili…

Tra i primi artisti, in Italia e possiamo dirlo, nel mondo, ad aver avuto una visione profeticamente esatta circa le urgenze spaziali nell’arte visuale, Lucio Fontana va immediatamente rammentato, e non poteva perciò essere assente in questa mostra. Anzi l’aver costruito, su precise indicazioni dell’artista, il suo celebre “ambiente spaziale nero”, costituisce, non solo un doveroso omaggio al maestro, ma la testimonianza di quanto abbiano significato per l’arte italiana e internazionale le sue geniali anticipazioni.

Da Fontana poi sono indubbiamente “discesi” molti dei nostri artisti migliori…Castellani, Bonalumi, Scheggi, per avvedersi che sono, pur con notevoli divergenze e con singolari caratteristiche autonome, derivati dalla lezione di Fontana.

Ad un altro indirizzo…appartengono le sale dei diversi artisti cinetici e “programmati” (come quelli del Gruppo T, del Gruppo N, di Alviani, del gruppo MID, di Fabro ecc.) Tale indirizzo, infatti, costituisce uno dei traguardi obbligati per molte odierne espressioni visuali: liberandosi dalla figurazione, alleandosi all’architettura e ai mass media, la pittura tendeva sempre più a valersi del dinamismo della luce e della sua integrazione con gli spazi architettonici sia interni che esterni.

· Lara Vinca Masini, intervento non titolato

…Anziché impostare il problema a livello di architettura e di urbanistica, partendo dal sistema globale, per scendere ai fatti singoli, particolari, dal “landscape”, dal “townscape”, per arrivare ai temi di interni (all’inscape), si assiste, ora, ad una serie di proposte che tendono a partire dal vertice opposto, dall’oggetto singolo, da interni, dall’ “inscape”, quindi, per risalire, con una operazione di trasposizione di scala, alla città intesa come assemblaggio di oggetti tecnologici, in una composizione a maglia variabile, secondo una strutturazione quanto mai libera e aperta; si tende a fare, insomma, della città stessa, un’ “opera aperta”.

…L’intento preciso è quello di giungere all’impostazione coordinata di un certo discorso di scambio attivo tra oggetto artistico … e il fruitore diretto per il quale è creato, per quel pubblico che non è solo quello che si rivolge all’opera con fini di fruizione estetica e culturale, ma quello che ne deve essere investito più direttamente, più totalmente, dell’ambito della vita quotidiana.

Si parla, infatti, di “environmental art”.

È il punto ultimo nel quale, sulla scia delle recenti esperienze inglesi, vanno convergendo i due poli della ricerca estetica d’avanguardia, quella strutturale programmata (le esperienze con la luce, col movimento, l’integrazione col suono, l’accentuazione nel senso dell’oggettualizzazione plastica dell’opera, la strumentalizzazione dei metodi scientifico-tecnici) e quella che, impostata sull’oggetto, ha origine in una componente pop.
 

Opere e artisti apparsi sul catalogo e selezionati per la centralità del rapporto fra luce-arte-ambiente

G. Alviani, Interpretazione Speculare. 1965 - ZOOM
G. Alviani, Interpretazione Speculare. 1965
· Getulio Alviani: Interpretazione Speculare. 1965 (Progetto)

Tecnica: alluminio OXD. Dimensioni: 7 elementi in alluminio speculare a forma semicilindrica di cm. 250 x 65 l’uno.

In un contenitore a forma cilindrica aperta, totalmente bianco all’interno, si realizza uno spazio nel quale si diffonde dall’alto una luce omogenea. La fonte luminosa è schermata e non direttamente visibile.

Al centro di questo spazio ancorati alla parte superiore ed inferiore, sono disposti sette semicilindri di alluminio speculare ruotabili lungo il loro asse. L’interrelazione dei semicilindri che assorbono il colore bianco delle superfici che li circondano, determinano, a seconda delle posizioni che possono assumere, l’alternarsi di immagini riflesse non perturbanti, fruibili allo stato di rapporto psicologico globale e primario.
 

· Alberto Biasi: spazio-oggetto Ellebi. 1967.

Materia e Tecnica: legno, colori fluorescenti, lampade a luce Wood. Dimensioni: m. 2,40 x 2,40 x 4,65.

Spazio sperimentale strutturalizzato per essere percepito in mutamento: coesistono uno spazio costruito dall’immagine (segno-colore) ed uno spazio reale incongruenti fra loro. L’incongruenza è colta nel tempo, nel passaggio cioè dalla percezione di oggetto a quella più complessa di spazio.

Elementi mobili forniranno allo spettatore sensazioni di posizioni e direzioni instabili.
 

· Davide Boriani: camera stroboscopica multidimensionale. 1965-1967

Materia e tecnica: Specchi, proiettori stroboscopici, Programmatore, Resine viniliche. Dimensioni: m. 3,10 x 3,10 x 2,70 (altezza)

La camera stroboscopica è stata precedentemente esposta:

1966, Stedelijk van Abbe Museum, Eindhoven, “Kunst Licht Kunst”

1967 Obelisco, Roma, “La luce”

Sala Esposizioni Gavina, Torino, Bologna

Denise René & Hans Mayer, Krefeld, “Constructivisme au Cinétisme”

Ambiente di forma cubica, il cui spigolo misura m. 3, con le quattro facce laterali interne coperte di specchi. Al centro dell’ambiente, lungo la diagonale del quadrato di base, è posto un piano verticale di m. 2 x 2, speculare su entrambe le facce, in modo da dividere l’ambiente in due spazi a pianta triangolare, a facce speculari.

Il pavimento è in resina polivinilica, suddiviso, secondo un reticolo regolare a base triangolare, in zone dei due colori rosso e verde complementari. Nel soffitto sono collocati 9 proiettori stroboscopici che mandano verso il pavimento fasci di luce pulsante con una frequenza di 8-10 pulsazioni per secondo. Ad ogni pulsazione la luce emessa da ciascun proiettore è alternatamene rossa e verde.

Le accensioni dei proiettori sono comandate da un programmatore, predisposto secondo un ciclo di 46 diverse combinazioni per la durata di 5 minuti.

Lo spettatore che si muove all’interno di un ambiente è posto in una condizione di spaesamento percettivo, in quanto non riesce immediatamente, mediante gli abituali parametri percettivi, a definire le reali dimensioni dello spazio in cui si trova.

Percepirà se stesso al centro di uno spazio illimitato la cui struttura prospettica, illusoria, varia col variare della posizione che egli ha nell’ambiente.

Tale struttura prospettica gli viene denotata dal ripetersi della sua stessa immagine che gli appare per brevi intervalli di tempo, alternatamene di colore diverso, proiettata all’infinito dagli specchi in molteplici direzioni.

Il rapporto percettivo che lo spettatore ha invece col piano orizzontale del pavimento su cui staziona, è alterato dall’effetto di vibrazione (movimento ritmico in zone diverse) assunto dal piano stesso per la proiezione di flash di luce rossa e verde su zone di colori complementari verde e rosso.

Inoltre la percezione che lo spettatore ha dei propri movimenti risulta deformata per la stimolazione discontinua dovuta all’effetto stroboscopio degli impulsi luminosi che scompongono il movimento in una serie di immagini fisse, cioè in un movimento a scatti più o meno accelerato.

(Di conseguenza è possibile che soggetti particolarmente sensibili siano portati a sincronizzare inconsciamente il ritmo dei propri movimenti con il ritmo percepito dei movimenti propri e di quelli degli altri spettatori, e quindi ad assumere gradualmente movimenti sempre più concitati).

Si è voluto con ciò attuare un sistema visivo atto a comunicare con lo spettatore il più possibile in modo diretto e totale, senza passare attraverso alcun processo di “rappresentazione”.

Un sistema atto cioè a sollecitare psicologicamente lo spettatore e a provocarne riflessi conseguenti, senza avvalersi dei più usuali veicoli segnici quali simboli, forme o comunque immagini, prefissate secondo criteri soggettivi.

Si è invece usata la luce quale mezzo atto a produrre e trasmettere simboli visivi, abbastanza esattamente manipolabili nelle loro dimensioni di spazio, durata e qualità cromatica, e non necessariamente fissati ad un determinato tipo di supporto materico.

Quale unico segno denotante è adottata la figura umana, cioè la immagine stessa del fruitore (o di più fruitori) moltiplicata all’infinito e manipolata allo scopo di ridurla a materiale visivo, a segno il più possibile privo di implicazioni semantiche.

Il fruitore diventa così parte integrante dell’opera in quanto con il suo intervento sostiene un ruolo fondamentale sia come componente visiva che quale attivatore psichico che influisce e determina il ritmo stesso dell’opera.
 
Gruppo MID, ambiente stroboscopio programmato. 1966 - ZOOM
Gruppo MID, ambiente stroboscopio programmato. 1966
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Gruppo MID: ambiente stroboscopio programmato. 1966.

Materiale: 3 fari da 500 Watts; n. 6 motori Gutris; ventole; temporizzatori. Dimensioni: m. 4,30 x 4,30 x 2,80

Dato uno spazio si intende creare un ambiente vivibile attivato dal movimento delle persone che lo abitano e che sia suscettibile di sperimentazioni a livello estetico.

L’evento visivo è basato sulle proprietà della luce stroboscopica ed è programmato in tre colori-base: rosso, verde, blu che si mescolano secondo la teoria additiva; e sulle variazioni di frequenza della luce.

Il movimento stesso delle persone (il camminare, il gestire etc) si struttura per effetto delle fonti luminose stroboscopiche in modo sempre diverso secondo le diverse situazioni nelle quali il fruitore si trova. I determinati campi, quindi, i mutamenti sia del colore che delle frequenze luminose, creano una mutevole, precisa lettura di movimenti effettuati dalle persone che attivano tale situazione.
 
Gruppo N, S.C.S.C., 1. 1967 - ZOOM
Gruppo N, S.C.S.C., 1. 1967
· Gruppo ENNE: S.C.S.C., 1. 1967.

Tecnica: P.V.C. legno, lampade e programmatore. Dimensioni: m. 3 x 3 x 3.

Progetto di ambiente struttura di cui non viene fornita spiegazione, tranne la descrizione dei materiali e i progetti su carta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
G. Colombo, After Structure. 1964-1967. - ZOOM
G. Colombo, After Structure. 1964-1967.
· Gianni Colombo: After Structure. 1964-1967.

Situazione abitabile programmata, in collaborazione con Gabriele de Vecchi. Materia e Tecnica: Ambiente + Luce Artificiale. Dimensioni: m. 2,50 x 2,50 x 2,50 in m. 6 x 9.

Ambiente a percorso permutabile le cui pareti e soffitto sono coperti da un sistema regolare di linee di colore rosso, verde, blu, un programma di “flash” a luce di colore alternatamene rosso, verde, blu, rivela e influenza discontinuamente i colori delle linee. La brevità e intensità dei “flash” produce delle “after images” che si sommano ai flash successivi lasciando nell’occhio dell’osservatore, per persistenza stratificazioni irregolari, evanescenti delle linee colorate nei colori complementari.

Con questa esperienza mi sono proposto di realizzare un oggetto visuale che si ponesse, libero da interpretazioni analogiche, come una comunicazione visiva prevalentemente ottica per raggiungere una strutturazione cinevisuale programmata (comunicazione visiva basata su segni da interpretare senza passare per uno stadio semantico). Nella convinzione che un oggetto destinato a un uso visivo, qualunque sia il significato che tende a comunicare è in origine una emittente di luce stimolante gli organi della visione e quindi rappresenta un certo modo di organizzare la luce, ho deciso in questa esperienza di usare la luce artificiale in quanto è il mezzo più misurabile e diretto per intervenire nel processo ottico-percettivo dell’osservatore. Ho realizzato questa esperienza in dimensione di ambiente e non di oggetto al fine di superare il micro-spettacolo della motivazione dinamica dello spazio all’interno di un oggetto (che solitamente si antepone allo spett! atore come modello di una situazione plastica) e di concretare attorno allo spettatore stesso, quindi fargli abitare, una organizzazione dinamica dello spazio, al tempo stesso con questa realizzazione è possibile compiere rilievi di comportamento ottico e psichico del suo fruitore il quale vi apporterà le variabili dovute alle sue reazioni fisiche e psichiche: scelta della posizione, scelta della zona focalizzata, scelta di tempi utili di percezione, reazione agli stimoli ottici e ambientali, venendo così ad auto-determinare egli stesso l’immagine che percepisce, aperta ad associazioni di rapporti spazio-dinamici.

[NB] Questo ambiente è inserito in uno spazio abitabile strutturato su un percorso a piani inclinati e zone tattili e fenomeni luminosi fra loro interferenti, progettato in collaborazione con Gabriele de Vecchi.
 

· Gabriele de Vecchi: Ambiente a strutturazione virtuale. 1964-1967.

Situazione abitabile programmata, in collaborazione con Gabriele de Vecchi. Materia e Tecnica: Ambiente + Luce Artificiale. Dimensioni: m. 2,50 x 2,50 x 2,50 in m. 6 x 9.

Un sistema di linee, ottenuto dall’ombra portata di un particolare diaframma posto davanti a fonti luminose in movimento su superfici schermo, costituito dalle facce interne del parallelepipedo in cui si attua la strutturazione, ordina una situazione visivo-percettiva di spazio dinamico.

Gli elementi prescelti sono intenzionalmente diretti ad organizzare un contesto cinetico-spaziale extra analogico ed al di fuori di criteri prospettici, euclidei o proiettivi di interpretazione.

L’operazione plastica si compie sugli elementi a livello fenomenologico e solo dalla loro intenzione potrà definirsi un’organizzazione a dimensioni di spazio.

Diaframmi interferenti intervengono sul flusso originando sulle pareti schermo zone scure-nere in campo illuminato-bianco.

I rapporti bianchi e neri costituiscono parametri stereometrici. Ponendo in movimento le fonti luminose conferiremo ai parametri dimensioni mutevoli, ubiquità, ritmo, velocità, direzione e possibilità di deformazione contribuendo ad una continua ricreazione di situazioni cinetico-spaziali.

Al fine di superare problemi insiti nell’oggetto convenzionalmente inteso, supporto, ambientazione, collocazione, consumo si è preferito costruire un oggetto con caratteristiche di abitabilità, che permette di programmare e dirigere il suo arredamento escludendo quelle dimensioni che a contatto con le esperienze complesse del fruitore possono risultare estranee all’intenzionalità del problema presentato.

Si desidera che lo spettatore sperimenti l’iter plastico-operativo dell’autore per scoprire e confrontare serie di ipotesi pragmatiche sulle possibilità di rapporti cinetico-spaziali.

Questo ambiente, inserito in uno spazio abitabile strutturato a piani inclinati e zone tattili e fenomeni luminosi fra loro interferenti, è stato progettato insieme a Gianni Colombo.
 
 
 
Bonalumi, Blu Abitabile. 1967 - ZOOM
Bonalumi, Blu Abitabile. 1967
 
. Agostino Bonalumi. Blu Abitabile. 1967

Materia e Tecnica: tela, legno e colore acrilico. Dimensioni: + m. 4, altezza m. 3

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Enrico Castellani. Ambiente Bianco. 1967

Materia e Tecnica: tela verniciata
 

Paolo Scheggi. Intercamera plastica. Modalità interspaziali. 1966-1967

Tecnica: fogli in legno fustellati su una struttura portante in legno di abete, colore acrilico bianco. Dimensioni: m. 4,45 x 5,55 x 3.

Per i tre artisti oggettuali sono da notare i tre ambienti, tutti monocromi e giocati sulla discontinuità della superficie ora rientrante ora estroflessa ora fustellata. La luce naturale viene assorbita, riflessa e modulata in modo diverso, ma per principio simile, dalla superficie degli ambienti rispettivi.
 
Ilaria Bignotti
 
 
 
 
 

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