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Gilda Giancipoli

Corpo e spazio

Una teoria compositiva nell’opera di Oswald Mathias Ungers

Piante e schemi compositivi. Dall’alto: casa Müller a Köln-Lindenthal, 1957-‘58; casa a Bensberg, 1960; casa Bauer a Overath, 1960-’61 - ZOOM

Piante e schemi compositivi. Dall’alto: casa Müller a Köln-Lindenthal, 1957-‘58; casa a Bensberg, 1960; casa Bauer a Overath, 1960-’61

Abstract
Tra i numerosi approfondimenti teorici e sperimentazioni condotti da Oswald Mathias Ungers in più di cinquant’anni della sua opera, emerge una delle prime teorie compositive applicate al tema dell’abitazione: la teoria di “corpo e spazio” che introduce una visione gerarchica degli spazi domestici anche nell’intento di ridurre il più possibile le superfici di distribuzione, per lasciare più spazio agli ambiti di vita collettiva della casa.

Articolo
Alla vasta opera dell’architetto tedesco Oswald Mathias Ungers (Kaisersesch, 1926 – Colonia, 2007), contribuiscono numerosi approfondimenti teorici e sperimentazioni compositive, costituenti la base formativa per la sua evoluzione progettuale, culminata negli anni ’80-‘90.
Dopo un esordio nel rispetto dei canoni modernisti ed un breve interesse verso il Neo-Espressionismo tedesco, egli, spinto dalla ricerca di un pensiero compositivo autonomo, intraprende un personale ragionamento sulla percezione dello spazio, indipendente dalle contemporanee correnti architettoniche.
La teoria di corpo e spazio, che lascia tracce in tutta la sua opera, è una delle prime elaborazioni teoriche di Ungers, emersa nel periodo iniziale di attività a Colonia, negli anni ’50-’60, sebbene l’architetto la enunci solamente nel 1963, quando intende abbandonare il proprio trascorso espressionista.
Essa si fonda su una considerazione prettamente filosofica e, di fatto, anche fisica: l’osservazione di un corpo costruttivo è condizionata dalla presenza di uno spazio nel quale esso possa essere preso in esame, viceversa, la percezione di uno spazio come vuoto, ma avente forma e dimensione, è subordinata alla sua delimitazione fisica, mediante elementi opachi, pieni, quindi: corpi.
Come sostiene l’urbanista Fritz Schumacher, nel suo libro Die Sprache der Kunst, ritenuto la prima fonte scritta, su cui Ungers approfondisce questo tema: «[…] si richiama alla consapevolezza che, anteponendo il plasmare la massa, all’obiettivo di formare opere convesse, plastiche, è perseguito tutto un altro scopo, ovvero la formazione di opere chiuse concave: vale a dire spazi [1]». Si delinea quindi una struttura concentrica dell’esistente, in cui lo spazio illimitato contiene liberamente l’architettura, come involucro dello spazio interno, racchiuso e finito, a sua volta ambiente della vita dell’uomo, che è il centro di questa figurazione tolemaica.
In ambito pratico, se si considera l’abitazione, essa è costituita da singoli ambienti, con differenti caratteristiche distributive e dimensionali in relazione al maggiore o minore carattere di collettività dei vani.
Ungers decide, quindi, di suddividere gli ambienti in due categorie: i corpi e gli spazi, ovvero positivi e negativi, determinanti e determinati, secondo un punto di vista inverso, per cui ciò che è negativo e determinato, ovvero lo spazio, è più importante degli “elementi strumentali” che lo definiscono.
A questo proposito, alla conferenza di nomina Prinzipien der Raumgestaltung [2], presso la Technische Universität a Berlino, del 1963, Ungers dichiarerà: «Nel significato più generale, l’architettura non è nient’altro che la demarcazione dello spazio aereo visibile dalla cella più piccola fino alla costruzione spaziale più complicata».
La formazione dello spazio (Raumgestaltung) avviene attraverso la formazione dei corpi (Körpergestaltung) in associazione con quanto affermato da un’altra fonte di Ungers: Hermann Sörgel con il suo Einführung in die Architektur-Ästhetik [3].
Perseguendo tale obbiettivo, Ungers concepisce i vani secondo forme geometriche semplici e riconoscibili anche attraverso la differenziazione nel disegno in pianta. La ricaduta formale prevede che questi elementi compositivi non siano semplicemente accostati o disposti in linea, ma parzialmente sovrapposti ed intersecati. Di conseguenza, le forme positive (opache, piene) mantengono la propria integrità formale, mentre quelle negative, subiscono l’inserimento dei corpi, perdendo la loro identità figurativa.
Come aveva inizialmente intuito anche Reinhard Gieselmann (Münster, 1925 – Karlsruhe, 2013), amico di Ungers, architetto e critico, questo sistema costituisce anche un espediente che permette la riduzione della superficie destinata alla distribuzione ai vani, consentendo un passaggio diretto tra i vari ambienti. In questi termini, egli, insieme ad un gruppo di giovani architetti di Basilea, aveva proposto al CIAM ad Aix-en-Provence del 1953, alcuni ragionamenti fortemente influenzati dall’opera di Frank Lloyd Wright sulla casa.
Per loro, l’abitazione ideale è il raggruppamento degli spazi privati attorno ad un nucleo centrale comune, il soggiorno, che riunisce la famiglia ed al contempo funge da disimpegno, intorno a cui si dispongono tutte le altre funzioni abitative.
L’elaborazione di questa teoria da parte di Ungers passa attraverso l’approfondimento teorico formativo, a cui concorrono numerosi contributi architettonico-filosofici, tra i quali quello dell’artista ungherese László Moholy-Nagy, che nel suo Von material zu architektur [4] teorizza a proposito della percezione dello spazio mediante il movimento, oppure la lettura degli scritti di Paul Fechter, come Die Tragödie der Architektur, dove l’architettura è vista come «attivo contrasto con lo spazio [5]».
L’applicazione pratica di questa teoria, è sicuramente riscontrabile in 5 progetti, tra il 1957 ed il 1967: la casa bifamiliare in Werthmannstraße 19, a Köln-Lindenthal, del 1957; la casa a Bensberg, del 1960 (mai realizzata); la casa Bauer a Overath, del 1960-’61; il progetto per il quartiere Neue Stadt, a Köln-Chorweiler/Seeberg, del 1961-’65 ed il complesso residenziale del Märkisches Viertel, a Berlino del 1962-’67.
Il caso della villa Müller in Werthmannstraße 19, oltre ad essere quasi sicuramente la prima vera applicazione compositiva della teoria di corpo e spazio, è anche il sistema più chiaro: gli elementi geometrici sono pochi e facilmente riconoscibili. I vani della casa sono disposti a formare una pianta a “L”, a cui si accede dall’intersezione dei due bracci. Le destinazioni d’uso sono separate chiaramente: il segmento orientato nord-sud è destinato, su entrambi i livelli, alle zone notte, mentre il lato est-ovest ospita la zona giorno. In quest’ultimo ambito è riconoscibile un ampio spazio di soggiorno quadrato, intersecato da tre elementi positivi: il cilindro della biblioteca, sul vertice più esterno, il rettangolo di servizio e cucina, diagonalmente opposto, ed accanto il vano scale che conduce al piano di sopra, la cui estremità semicilindrica emerge esternamente. La distinzione tra questi pochi elementi viene rafforzata da Ungers, concettualmente e visivamente, nel disegno, conferendo al soggiorno una superficie completamente vetrata ed una corporeità quasi del tutto chiusa agli elementi posti sulla sua diagonale.
Il progetto per la casa a Bensberg, che presenta solo un accenno di questa teoria, adotta un sistema più racchiuso e semplificato dove il soggiorno, sempre quadrato, non è più centrale, ma è interessato dall’inserimento del camino e dall’intersezione con la cucina, mentre ad uno spazio di disimpegno centrale, quasi simmetrico, aderiscono i vani più privati e di servizio.
La complessità della pianta aumenta decisamente con la realizzazione della casa Bauer a Overath. Il progetto si articola in due blocchi costruttivi, denominati “Wohnhaus” e “Schlafhaus” [6], l’“edificio per abitare” e l’“edificio per dormire”, associati dall’ampio soggiorno-ingresso romboidale. Nonostante l’eterogeneità compositiva, il sistema risulta chiaro: gli elementi positivi si sviluppano secondo due direzionalità distinte, non perpendicolari. Per enfatizzare il carattere di accoglienza e connettività del soggiorno, questo vano viene disposto ad una quota più bassa, rispetto al resto della casa. Anche in questo progetto, esso presenta una superficie completamente vetrata sui due lati esterni, che spicca nettamente rispetto ai volumi nitidi in muratura, rivestita in clinker, della casa. La forte compenetrazione con i volumi positivi fa sì che risulti molto difficile intuire l’appartenenza anche dell’ingresso alla figura connettiva negativa, mentre il rilievo gerarchico del grande parallelepipedo positivo centrale alla composizione, costituito dallo studio e dalla camera da letto padronale è tale da prevalere rispetto agli altri elementi positivi.
L’esempio, in cui la definizione della teoria di corpo e spazio raggiunge la piena espressione, è il progetto vincitore al concorso per il quartiere Neue Stadt, che definisce uno schema aggregativo variante, basato sul modulo della residenza. Per evidenziare ancora di più questo sistema, i corpi positivi sono quasi tutti costituiti da un unico vano di forma quadrata o rettangolare e nettamente separati, non c’è contatto tra di loro. Il passaggio tra due vani positivi può avvenire solo mediante l’interspazio negativo del soggiorno, tranne che per i servizi, come bagno e cucina, spesso accorpati in un unico elemento massivo. Il risultato dall’esterno è un insieme multiforme di “corpi a torre”, verticali, autonomi e continui per tutta l’altezza del fabbricato. Tra il progetto risultato vincitore e l’effettiva realizzazione, c’è molta differenza. Inevitabilmente, l’incontro tra studio tipologico e realtà determina la regolarizzazione del principio compositivo, rendendo meno evidente l’applicazione della teoria di corpo e spazio.
Similmente, continuano questa linea teorica le residenza progettate subito dopo, per il quartiere Märkisches Viertel di Berlino. Gli alloggi sono aggregati in gruppi da tre a cinque, intorno ad un vano scale comune. Questo impianto organizzativo, a differenza del precedente della Neue Stadt, si affida alla simmetria, organizzando i servizi in una sorta di forma a croce centrale positiva che definisce lo spazio di ogni alloggio, mentre i vani privati delle camere da letto, intesi come corpi, vanno ad occupare i vertici esterni. La struttura aggregativa, qui introdotta, risulta estensibile all’infinito.
In ognuno di questi casi il principio teorico di separazione tra elementi primi finiti e spazi accoglienti intersecati viene generalmente rispettato ed Ungers pone l’attenzione sul conferire sempre agli spazi negativi una superficie vetrata in tutta la sua larghezza, in modo tale che anche nel disegno in pianta, questa differenza sia intuibile.
Successivamente, a seguito delle forti polemiche ricevute a causa dell’elevata densità abitativa del quartiere Märkisches Viertel, Ungers avvierà un processo di ripensamento delle proprie convinzioni, cercando forme più rigorose e semplici. Il sistema compositivo compenetrante di corpo e spazio, enunciato nella sua prima fase ideativa, perde il formalismo dell’intersezione tra geometrie, lasciando il posto a volumi puri, indipendenti.

Note
1 Fritz Schumacher, Die Sprache der Kunst, Deutsche Verlagsanstalt, Stuttgart/Berlin 1942, p. 227
2 Oswald Mathias Ungers, Berufungsvortrag, zu den Prinzipien der Raumgestaltung gehalten an der TU Berlin 1963, in “Arch +”, n. 181/182, dicembre 2006, p. 43.
3 Hermann Sörgel, Einführung in die Architektur-Ästhetik. Prolegomena zu einer Theorie der Baukunst, Piloty & Loehle, München, 1918, p. 149.
4 Lázló Moholy-Nagy, Von material zu architektur, “Bauhausbücher”, Albert Langen Verlag, München 1929.
5 Paul Fechter, Die Tragödie der Architektur, Erich Lichtenstein, Weimar 1922, p. 7.
6 O. M. Ungers 1951-1985. Bauten und Projekte, Vieweg, Brauschweig/Wiesbaden 1985, p. 65.

Bibliografia
Sörgel, H. (1918). Einführung in die Architektur-Ästhetik. Prolegomena zu einer Theorie der Baukunst. München: Piloty & Loehle.
Fechter, P. (1922). Die Tragödie der Architektur. Weimar: Erich Lichtenstein.
Moholy-Nagy, Lázló (1929). Von material zu architektur, “Bauhausbücher”. München, Albert Langen Verlag.
Schumacher, F. (1942). Die Sprache der Kunst. Stuttgart/Berlin: Deutsche Verlagsanstalt.
Werkstattbericht, E. Bauten und Projekten von O.M. Ungers, in “Bauwelt”, n. 8, 51 a., 22 febbraio 1960 , pp. 204-217.
Ungers, O. M., Sozialer Wohnungsbau 1953-1966, in “Baumeister”, n. 5, 64 a., maggio 1967, pp. 557-572.
Ungers O. M., Zum Projekt Neue Stadt in Köln, in “Werk”, n. 7, luglio 1963, pp. 281-284.
Klotz, H., (1977). Architektur in der Bundesrepublik, Gespräche mit Günter Behnisch, Wolfgang Döring, Helmut Hentrich, Hans Kammerer, Frei Otto, Oswald M. Ungers. Frankfurt/M: Verlag Ullstein GmbH.
(1985). O. M. Ungers 1951-1985. Bauten und Projekte. Brauschweig/Wiesbaden: Vieweg.
Kieren, M. (1997). Oswald Mathias Ungers. Bologna: Zanichelli.
Neumeyer, F. (1998). Oswald Mathias Ungers, Opera completa. 1951-1990. Milano: Electa.
Ungers, O. M. Berufungsvortrag, zu den Prinzipien der Raumgestaltung gehalten an der TU Berlin 1963, in “Arch +”, n. 181/182, dicembre 2006, pp. 30-44.
Cepl, J. (2007). Eine Intellektuelle Biographie. Köln, Verlag der Buchhandlung Walter König.

Gilda Giancipoli accede nel 2005 alla Facoltà di Architettura “Aldo Rossi”, dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. Nel 2010 scrive il saggio Ornamento e delitto, un film di Aldo Rossi, Gianni Braghieri, e Franco Raggi, in OMU/AR, Edizione CLUEB. Si laurea in Architettura nel 2011, con una Tesi in Tecnologie eco-efficienti per l’Architettura. Nel 2012 accede al Dottorato di Ricerca in Architettura del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, che conclude nel 2015 con la Tesi: Oswald Mathias Ungers. Belvederestraße 60. Zu einer neuen Architectur. Dal 2015 è Journal Manager della rivista In_Bo del Dipartimento di Architettura. 
Assonometrie e schemi compositivi tridimensionali. Dall’alto: casa Müller a Köln-Lindenthal, 1957-‘58; casa a Bensberg, 1960; casa Bauer a Overath, 1960-’61. - ZOOM

Assonometrie e schemi compositivi tridimensionali. Dall’alto: casa Müller a Köln-Lindenthal, 1957-‘58; casa a Bensberg, 1960; casa Bauer a Overath, 1960-’61.