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Festival dell'architettura

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José Manuel López-Peláez

Torres Blancas

Torres Blancas. Primi schizzi

Torres Blancas. Primi schizzi

Abstract
Nella Madrid degli anni sessanta l’architetto navarro Sáenz de Oíza sperimenta la costruzione di un edificio residenziale a torre in cemento armato. Risultato della felice relazione con un imprenditore mecenate, Juan Huarte, l’edificio si articola nella variazione tipologica di alloggi ad L e duplex, di locali per uffici e servizi, fino agli spazi ad uso comune, come la piscina e il ristorante della terrazza sul tetto, per proporsi come modello di piccola città autosufficiente.

Nel 1961 Francisco Javier Sáenz de Oíza fu incaricato da Juan Huarte, noto industriale, mecenate già legato ad un gruppo di artisti importanti come Oteiza, Palazuelo, Cela, o Chillida, di progettare Torres Blancas. Benché Oíza avesse ottenuto il Premio Nacional de Arquitectura nel 1954 con il progetto per la “Cappella sul Cammino di Santiago”, erano in realtà i progetti di edifici residenziali che in quegli anni occupavano la maggior parte della sua attività professionale, dai quartieri popolari alle abitazioni unifamiliari.

Sáenz de Oíza era originario della Navarra, come Juan Huarte, ed è certo che la sua forte personalità, la sua cultura brillante e il suo prestigio professionale attirarono l’attenzione dell’imprenditore.
La costruzione di Torres Blancas nasce come un’operazione di prestigio istituzionale, in cui indagare un preciso tema: una proposta per la “torre ideale”. E il mecenate sapeva che Oíza aveva la capacità per dare forma alle sue intenzioni.

Raggruppare appartamenti in verticale rappresentava un’idea tipologica davvero inusuale nella Spagna di quel tempo e questo sottolinea la singolarità della proposta. L’idea fondamentale era di costituire degli appartamenti-giardino in altezza, disposti non come semplice sommatoria, ma tesi a comporre un ordine complesso. Con questa proposta si affermava la possibilità di rendere compatibile l’ideale moderno della casa nella natura con la logica della torre, ovverosia con una struttura urbana sufficientemente densa e dotata di servizi comunitari.

L’intenzione iniziale nel pensare Torres Blancas fu, come spiegò Oíza, quella di proporre una maglia strutturale molto libera su piattaforme di diverse altezze e dotate degli impianti necessari, come si trattasse di “lotti” nei quali il cliente avrebbe potuto costruire la sua abitazione in assoluta libertà. I temi della “flessibilità” nell’uso della casa e della “partecipazione” dell’utente alla sua configurazione, che in quel momento si dibattevano in alcuni ambienti teorici, formavano parte dei suoi interessi intellettuali. Lo stesso Oíza descrive così le circostanze in cui questo processo si realizzò:
“In un dato momento, Huarte, durante un suo viaggio a Parigi, mi mandò un telegramma che risultò essere rivoluzionario. Diceva che la vera libertà per un uomo che vuole una casa era di trovare un buon prodotto e farlo proprio. Potersi identificare con il progetto. A partire da questo si figurarono due condizioni per lo sviluppo del progetto: una certa libertà di variazioni della pianta e una struttura in setti di cemento.”1
Nella citazione si può apprezzare il valore della relazione tra Juan Huarte e Oíza durante il progetto di Torres Blancas, ma anche la condizione materiale in cui questo si sarebbe dovuto costruire e l’importanza strutturale che il cemento avrebbe dovuto acquisire nella torre. Su questo aspetto contò sulla collaborazione degli ingegneri Carlos Fernández Casado e Javier Manterola.

Durante le sue lezioni come professore alla Facoltà di Architettura, Oíza si riferì talvolta al progetto di Torres Blancas. Riguardo alla struttura di una torre parlava di due posizioni estreme: il “tutto dentro” e il “tutto fuori”. Così come si può vedere dai primi schizzi pensava inizialmente di concentrare tutta la struttura all’interno, unita ai nuclei di comunicazione e agli elementi di servizio. Attorno a questo centro si sarebbero disposti gli appartamenti, configurati a “elle” attorno ad un giardino privato e a loro volta disposti a svastica, per ottenere la maggior intimità possibile. Il riferimento all’albero, con il tronco da cui si staccano i rami, conferma l’interesse di Oíza in quel momento per le strutture organiche. Senza dubbio era però necessario migliorare la resistenza al vento e a tal fine sarebbe stato opportuno spostare gli elementi strutturali sul perimetro.

L’organizzazione verticale della torre non si otteneva con il semplice impilarsi degli alloggi, tanto che nei modellini di studio si fecero diversi tentativi per variare la disposizione delle unità. Nel spostare all’esterno gli schermi strutturali, Oíza tornava alla metafora dell’albero, in cui la corteccia esterna al tronco produce un’inerzia maggiore alla flessione laterale ed inoltre protegge i condotti interni che alimentano l’organismo nel loro percorso dalle radici, i piani bassi dei parcheggi, fino agli spazi residenziali che si aprono verso l’esterno come rami, e si estendono verso il cielo per ospitare lo spazio collettivo della torre.

La fase di progettazione durò per più di tre anni, con diversi tentativi, schizzi e plastici che regolarmente si concretizzavano in tavole tecniche. Esistono molti disegni, alcuni dei quali pubblicati, frutto di un processo di lavoro che merita di essere studiato con attenzione. Oíza raccontava che ad un certo punto, disegnando le piante su una trama triangolare, si “trovò” con la soluzione della torre Price che Wright aveva costruito pochi anni prima.
D’altra parte, il programma funzionale, che l’architetto aveva sempre discusso con la proprietà, prevedeva alloggi di diverse tipologie e dimensioni, da appartamenti normali a soluzioni in duplex, oltre a locali per uffici, spazi commerciali, di servizio, sale multiuso e per il tempo libero, come i giardini comuni e la piscina.
Questo programma supportava l’idea di rendere compatibili i valori della natura con il contesto urbano.
La torre doveva essere concepita come una piccola città autosufficiente.
La casa abbracciava il giardino caratterizzando in diversi modi la sua privaticità, per evitare l’incrociarsi delle viste tra gli appartamenti. Il soleggiamento era una questione importante per Oíza, e in una disposizione a svastica degli appartamenti si sarebbe compromesso l’orientamento di uno degli alloggi. Si evitò questa situazione alterando la rigidità dello schema iniziale e così l’appartamento orientato inizialmente a NO e a SO si ruotò ad affacciarsi a NE e SE. L’importanza di questo cambiamento si formalizzò in uno schizzo di grandi dimensioni, disegnato con colori brillanti, a significare che da quel momento si sarebbe cominciato a disegnare la soluzione definitiva.

L’ubicazione precisa delle torri non era stata decisa all’inizio: esistono disegni che le rappresentano in uno spazio verde generico, costruite in cemento bianco. Alla fine il promotore decise di utilizzare un terreno di sua proprietà a Madrid, vicino all’autostrada per l’aeroporto. Le norme urbanistiche obbligarono a limitare la realizzazione ad un solo edificio. Non fu neanche possibile usare il cemento bianco per questioni economiche e il nome, Torres Blancas, si è mantenuto solo come riferimento all’incarico iniziale e al processo progettuale.

Non è semplice capire l’organizzazione di ogni piano. Esistono tre tipi di appartamenti. Quello più frequente, che si dispone in quattro unità per piano, è quello che Oíza chiama “normale” con quattro camere da letto, una delle quali di servizio. L’altro è il duplex, che praticamente raddoppia quello precedente. Infine vi sono le unità più piccole, otto per piano, che a loro volta si differenziano in due tipi. Eccetto questi ultimi, tutte le unità hanno due ingressi, quello principale al livello della casa e quello di servizio al livello superiore o inferiore. Si ottiene così una nuova varietà tipologica. Tutta questa diversità “urbana” ha luogo in uno sviluppo verticale, dal sottosuolo fino ai livelli superiori.
Gli ingressi all’edificio avvenivano scendendo dal livello della strada. La torre doveva mostrare il suo “peso” affondando nel suolo. Oíza dava molto valore alla disposizione degli accessi, ai luoghi di passaggio che questi sistemi richiedono, ed elogiava i principi del Team 10 (aveva assistito nel 1962 al Congresso di Royamont). Così, ognuno dei modi di accesso alla casa, anche dal parcheggio sotterraneo, doveva avere dignità sufficiente. I piani più alti avrebbero ospitato uffici e spazi collettivi, climatizzati e all’aria aperta come la piscina e i giardini. Con anche un ristorante dal quale sarebbe stato possibile inviare piatti pronti alle cucine degli appartamenti mediante montacarichi.

Costruire la torre in quegli anni, dal 1964 alla fine del decennio, costituì una vera sfida per molti aspetti. La capacità tecnica dei noti ingegneri che intervennero venne duramente messa alla prova, e oltre ai calcoli statici, vennero eseguiti modelli della struttura per garantirne il funzionamento. Per Oíza qualsiasi circostanza era occasione per sperimentare, dagli impianti e i materiali, fino al più semplice elemento funzionale. Qualsiasi problema poteva trovare una risposta sorprendente. Pretendeva di occuparsi anche dei dettagli più modesti, che disegnò durante tutte le fasi del cantiere. Per esempio, le finestre delle cucine, che, aprendosi verso l’interno, consentivano di vedere la strada anche dal piano di lavoro, furono realizzate in legno di teak e potevano essere smontate per essere pulite nell’acquaio.

Sáenz de Oíza abitò a lungo a Torres Blancas in un duplex del quinto piano. Una casa molto abitata, integrata nella terrazza giardino, dove interno ed esterno formavano luoghi complementari. Ripeteva spesso che gli edifici dovevano espandersi sui bordi, come le ossa. Riguardo a questo valore espansivo del limite, diceva:
“La soglia è lo spazio che mette in relazione l’interno con l’esterno; è pertanto la tua esistenza. Vieni dalla vita privata, però hai anche una proiezione pubblica. La soglia è così il centro del mondo: quelle donne dei paesi sulla soglia dei casolari sono al centro del mondo. Come l’uccello che sta sul bordo del nido: al centro vive la sua vita interiore, con i suoi uccellini, però deve uscire e cacciare e quando sta sul bordo, guardando l’interno e l’esterno, è al centro del suo mondo.
Questo è molto importante per l’architettura, e di consegnuenza l’architettura è tanto più importante quanto più è spesso il suo bordo, la sua soglia.“
Possiamo realmente vedere Torres Blancas come un luogo fatto di spessi bordi di aria e di ampie soglie.

Note
1 Citato nel numero 32-33 della rivista «El Croquis» Monografico dedicato a Sáenz de Oíza. El Escorial, febbraio-aprile1988.

José Manuel López-Peláez (Madrid 1945). E’ Professore Ordinario di Progettazione Architettonica alla Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Madrid. E’ autore di numerosi articoli di critica e dei libri “L’arquitectura de Gunnar Asplund” e “Maestros Cercanos”. E’ fondatore dello studio Frechilla & López-Peláez, la cui opera ha ottenuto premi diversi e numerose pubblicazioni. 
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