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Gioconda Cafiero

Abitare i luoghi della formazione

H. Hertzberger, Scuola Montessori, Delft, Olanda, 1966

H. Hertzberger, Scuola Montessori, Delft, Olanda, 1966

Abstract
L’architettura, attraverso il complesso fenomeno dell’abitare, contribuisce alla costruzione dell’uomo, così come l’uomo costruisce il suo mondo attraverso di essa. Dopo il fondativo ruolo dell’architettura della casa, quella dei luoghi deputati alla formazione ricopre il ruolo di interpretare e costruire la qualità dell’uomo quale essere sociale, precorrendo l’urbanità e ponendo le basi della capacità di abitare lo spazio condiviso. La lettura di realizzazioni di H. Hertzberger esemplifica l’integrazione tra visione pedagogica e progetto architettonico, visto proprio come strumento di formazione.


Partendo dal presupposto che abitare sia un tratto fondamentale dell’essere e che il rapporto tra l’uomo ed il mondo, che si declina attraverso l’abitare, è quasi sempre mediato dall’architettura, comprendiamo che il ruolo che l’architettura svolge nella costruzione della persona e della qualità della sua esistenza è pari a quello che l’uomo ha nella costruzione del suo mondo attraverso l’architettura. Il ruolo educativo dell’architettura si manifesta nel suo dare forma e struttura al mondo umano, consentendo l’abitare e questo inizia nella vita di ognuno nel momento in cui si comincia ad avere una relazione con lo spazio e all’interno dello spazio più prossimo, scaturigine di ogni altro, che è quello della casa. In tal senso un ruolo formativo nella costruzione della persona in rapporto al mondo può essere attribuito all’architettura in sé, a cominciare dallo spazio domestico, che, come spiega Schulz, è il primo luogo in cui si costruisce la propria identità personale (Schulz, 1984, 7), riprendendo il concetto espresso da Bachelard che afferma che “prima di essere gettato nel mondo … l’uomo viene deposto nella culla della casa” (Bachelard, 1975, 35). Già la casa può avere il senso di punto di partenza per la comprensione del mondo: “il ruolo privilegiato della casa non consiste nell’essere il fine dell’attività umana, ma nell’esserne la condizione e, in questo senso, l’inizio” (Levinas, 1990, 155). Se l’architettura domestica ha un ruolo attivo nella costruzione dell’individuo, l’architettura dei luoghi deputati alla formazione ed all’educazione ha un ruolo imprescindibile nella costruzione dell’uomo quale essere sociale e cittadino. La qualità dello spazio e del linguaggio di questi luoghi contestualmente costruisce ed interpreta la qualità dei rapporti tra le persone e tra queste ed il mondo. Il ruolo principale di questa architettura quale “terzo insegnante” è nella capacità di costruire la sensibilità nei confronti della qualità dello spazio architettonico come promotore della qualità dell’esistenza.

Questo tipo di approccio spinge a connettere in maniera inscindibile lo studio della forma dei luoghi alle modalità dell’abitare, che, pur sostanziata dalla consistenza della determinazione formale, non può essere compresa appieno se non considerando il fenomeno che da questa prende avvio nell’abitare, in tal modo difendendo la Forma dai formalismi. Il tema della relazione tra assetto formale/spaziale e fenomeni legati all’abitare è fondativo nell’approccio al progetto che caratterizza l’Architettura degli Interni e definisce il suo ruolo in relazione al progetto di Architettura. Proprio la complessità dell’abitare, che non si risolve in un istante, ma richiede del tempo, e che è metafisicamente diverso dal vedere, conferisce allo spazio architettonico la possibilità di contribuire alla costruzione delle relazioni tra abitanti e realtà fisica e tra gli abitanti tra loro (Cafiero, 2001).

È significativo osservare il legame che intercorre tra interessanti realizzazioni architettoniche nel campo scolastico e della formazione e pensiero filosofico-pedagogico. Nella visione di Rudolph Steiner, ad esempio, l’architettura è la concretizzazione esteriore e visibile della complessa natura umana: il Goetheanum di Dornach è la materializzazione della sua aspirazione a rendere il suo spazio interno immagine dello spazio universale, ragione per cui si struttura secondo relazioni topologiche, modellandosi dall’interno verso l’esterno. Lo stesso pensiero animava la realizzazione della prima Scuola Waldorf, a Stoccarda nel 1919, il cui modello pedagogico si plasmava sulla visione della necessità di assecondare l’evoluzione infantile. In questo modello le facoltà cognitivo-intellettive assumevano importanza pari a quelle creativo-artistiche e pratico-artigianali, facoltà che, parallelamente, dovevano trovare equivalente asilo negli spazi fisici della scuola, organizzati in modo tale da curare e favorire la percezione sensoriale dell’allievo attraverso la bellezza e la qualità degli spazi. In tempi recenti, in Germania, il lavoro di Peter Hubner propone progetti di scuole e residenze per studenti in cui la attenzione del progettista ai processi legati alla formazione ed ai rapporti interpersonali si coniuga al coinvolgimento degli stessi studenti nel processo generativo, fino a giungere a processi di autocostruzione, visti come un fattore di promozione dell’appartenenza tra uomini e luoghi (Blundell Jones, 2007).

La visione pedagogica di Maria Montessori si basa su di un approccio non positivista, aperto a valorizzare aspetti non quantificabili né rigidamente incasellabili ma importanti nella formazione dell’individuo: la scuola montessoriana non si limita ad assolvere il compito di istruire, ma di formare l’uomo, favorendone l’acquisizione della qualità principale per affrontare l’esistenza, ovvero l’adattabilità. Il tipo di rapporto che ne deriva tra educatore ed educando è ovviamente di tipo maieutico e lo spazio educativo atto ad ospitare ed agevolare questo rapporto deve essere di tipo non statico, ma riccamente interconnesso al suo interno e con l’esterno. L’ambiente fisico deve riflettere il pensiero olistico alla base della visione pedagogica e, in maniera duttile, predisporsi ad accogliere sia la dimensione corale che quella individuale del lavoro, superando la visione statica della scuola tradizionale, basata sulla standardizzazione, sulla rigida divisione e settorializzazione tra le funzioni.

Herman Hertzberger, egli stesso ex studente montessoriano, ha coltivato per tutta la sua lunga carriera tali questioni, ponendole alla base di numerosissimi progetti di edifici scolastici nei quali è tangibile l’idea che la qualità dell’architettura sia uno strumento fondamentale per la formazione, divenendo learning landscape, interpretando una visione del mondo e contemporaneamente insegnando a stare nel mondo, a relazionarsi con gli altri e a prendersi cura dello spazio in cui si vive (Hertberger, 2008). Il rapporto tra l’utente e la forma dello spazio dedicato all’apprendimento divengono fattore di promozione del rapporto tra l’individuo e la comunità di cui fa parte. Immediato è il parallelo tra struttura della scuola e struttura urbana, dove lo spazio della classe divene home base, lo spazio di riferimento del gruppo-classe, mentre gli spazi di collegamento e riunione sono spazi sociali come strade e piazze.

Il disegno dello spazio è strettamente correlato alla comprensione del gesto e della relazione che si può costruire attraverso esso tra le persone che lo abitano. In accordo con i principi della pedagogia montessoriana, lo spazio della classe si complica, superando la rigidità dell’aula pensata per la lezione frontale e divenendo polilobato, formato da ambiti spaziali di diversa ampiezza, posti anche su quote diverse, disponibili ad accogliere sia il lavoro individuale che lavori di gruppo, anche attraverso un concorde disegno degli arredi pensati per una facile composizione e ricomposizione da parte degli stessi utenti, che sono protagonisti della costruzione del proprio spazio. Lo spazio della classe disegnato per la Scuola Montessori a Delft, nel 1966, mostra chiaramente la costruzione dinamica secondo un movimento spiraliforme, che conferisce ai diversi ambiti un crescente carattere di interiorità. L’integrazione del disegno degli spazi con quello degli arredi fissi sottolinea il legame tra gesti e definizione formale dei luoghi. La ripetizione seriale cede il passo ad una ricerca della differenziazione che facilita la riconoscibilità dei luoghi e l’orientamento. Molto importanti sono gli spazi di soglia, di passaggio tra una condizione spaziale ed un’altra, costruendo di volta in volta un luogo abitabile invece di un semplice strumento per rispondere ad una funzione pratica. Gli spazi di raccordo sono trattati in modo da avere un ruolo decisamente più significativo rispetto a quello del semplice collegamento e della distribuzione dei percorsi: sono trattati come spazi abitabili, lungo i quali possono declinarsi le relazioni sociali e le attività informali, i momenti di pausa, di studio non istituzionale, di lettura; pertanto si dotano di luoghi di sosta, di nicchie attrezzate, e molti elementi vivono della disponibilità ad usi diversi, come, ad esempio, un muretto od una scala che sono anche delle sedute. Il disegno degli spazi appare richiedere di essere completato dalla presenza delle persone, cui offre molteplici possibilità di entrare in relazione, tanto nella condizione più appartata delle classi e dei laboratori che in quella decisamente più interconnessa degli spazi comuni e dei luoghi di relazione. L’Oost College, realizzato tra il 1993 ed il 1999 ad Amsterdam, per studenti di fascia d’età liceale, si raccoglie significativamente proprio attorno agli spazi comuni. Un ruolo particolare nel costruire il carattere del luogo è affidato agli spazi assembleari, che, sempre secondo la metafora secondo cui lo spazio della scuola è precusore dell’urbanità, sono delle vere e proprie piazze. Grazie al trattamento non uniforme delle altezze ed alla sfalsatura ricorrente dei livelli, assumono un particolare valore gli affacci, strumento di intensificazione delle relazioni e di facilitazione nell’orientamento, allontanando ancor di più lo spettro del carattere labirintico e spaesante che spesso assumono le scuole tradizionali. Anche gli spazi all’aperto sono trattati in funzione della loro abitabilità, e come tali assumono un ruolo pari agli interni, anche se destinati fondamentalmente al gioco o ad attività dal carattere informale, ma proprio per questo formativo, come è evidente nel recente, ed unico esempio italiano della Scuola Elementare Romanina, realizzata a Roma nel 2012 con Marco Scarpinato ed Autonome Forme, caso molto interessante anche per il suo conciliare le esigenze di flessibilità e di uso partecipativo, proprie di un approccio fenomenologico al disegno dello spazio architettonico, con la normativa italiana.
Sicuramente questi esempi ci rafforzano nell’idea che formarsi all’interno di spazi architettonici frutto di un progetto sensibile e colto costruisca la capacità di riconoscere la qualità anche in qualsiasi altra tipologia di spazio architettonico, costruendone nel contempo anche il bisogno: in tal modo il peso dell’architettura della scuola come “terzo educatore” si manifesta non solo nel suo ruolo partecipe e facilitatore nei processi di apprendimento tout court e di formazione della persona, ma anche nel suo ruolo di promotore della capacità di riconoscere il legame tra qualità dello spazio e qualità dell’esistenza, sostenendo la domanda di buona architettura e ponendo le basi, con alto valore sociale, della sensibilità nel prendersi cura dello spazio condiviso.

Bibliografia / Reference
Schultz, C.N. (1984). L’abitare. L’insediamento, lo spazio urbano, la casa. Milano: Electa.
Bachelard, G. (1975). La poetica dello spazio. Bari: Dedalo Edizioni.
Lévinas , E. (1990). Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità. Milano: Jaca Book.
Cafiero, G. (2001). Il valore dell’interno tra contemplazione e partecipazione. Napoli: B. di M..
Blundell Jones, P. (2007). Peter Hubner: Building as a Social Process. Stuttgart: Axel Menges.
Hertzberger, H. (2008). Space and Learning, Lesson in Architecture 3. Rotterdam: 010 Publishers.
Hertzberger, H. (1991). Lesson for students in Architecture. Rotterdam: 010.
Faiferri, M. (2012). La scuola come metafora del mondo. Domusweb, 21.9.2012


Gioconda Cafiero è ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”, dove insegna Architettura degli Interni. Phd presso il Politecnico di Milano nel 1998, con una tesi dal titolo Allestimento: esposizione e comunicazione”, relatore il prof. Filippo Alison. Successivamente prosegue la sua attività di ricerca e didattica presso l’Università “Federico II” di Napoli, concentrandosi sulla piccola scala dell’architettura, sullo spazio domestico e l’exhibit design, nel cui ambito partecipa a concorsi e pubblica monografie, saggi e articoli, in Italia e all’estero. Dal 2008 è ricercatore per il settore Icar 16. Dal 2010 al 2011 è membro del collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica, dal 2011 del Dottorato di Ricerca Internazionale in Filosofia dell’Interno Architettonico presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
H. Hertzberger, Scuola Montessori, Delft, Olanda, 1966

H. Hertzberger, Scuola Montessori, Delft, Olanda, 1966