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Andrea Matta

La città nell'università

L'esperienza Mastercampus

Disegno del piano originale per l’insediamento universitario di Parma.

Disegno del piano originale per l’insediamento universitario di Parma.

Abstract
Il ruolo fondamentale che oggi assume l’istituzione universitaria nei confronti della città europea richiede un ripensamento dei luoghi nei quali essa si insedia. Uno di questi è il campus. L’esperienza svolta all’interno del progetto Mastercampus stimola il ragionamento rispetto ad alcuni elementi chiave per comprendere questo tipo insediativo e la relazione che instaura con la città di riferimento, alla luce delle nuove esigenze ed opportunità europee.

Testo
L’insediamento universitario di Parma, posto a sud ed esterno alla città, viene realizzato negli anni Settanta, in una fase storica che, dopo quella del secondo dopoguerra, vede l’affermarsi di un nuovo sviluppo urbano periferico. Un incremento della domanda formativa e altri fattori legati all’economia e alle strategie pianificatorie della città determinano la scelta di prevedere un asse attrezzato prevalentemente direzionale di cui l’università, intesa nell’accezione insediativa del campus periferico - caratterizzato anche dalla presenza di residenze studentesche - avrebbe costituito una componente fondamentale.
Tuttavia, il successivo cambiamento delle scelte pianificatorie degli anni Ottanta tradisce l’impostazione coerente iniziale in cui la matrice insediativa è costituita da una “[…] maglia ortogonale tridimensionalmente elaborata, attraverso modelli di sintesi della forma determinati dall’elaborazione matematica di dati prestazionali”.[1] Tale “procedimento scientifico progettuale”[2] non viene successivamente adottato, prevalendo invece una costruzione a padiglioni isolati ed autonomi con parcheggi in aderenza e rete stradale carrabile come unico collegamento tra essi, senza per altro costruire residenze studentesche se non, nella storia più recente, al di fuori dell’area universitaria.

Il risultato visibile oggi è la scarsa presenza di servizi collettivi, la totale assenza di spazi aggregativi o di un luogo di riferimento in cui studenti e professori possano ritrovarsi, oltre alla mancanza di una rete di percorsi pedonali che metta a sistema gli spazi esterni con i padiglioni dipartimentali presenti; il mezzo privato è protagonista, e l’assenza di una organizzazione degli spazi fa prevalere, ancora una volta, la presenza di vuoti senza qualità, in questo caso prati verdi “terra di nessuno”, come in una qualsiasi anonima periferia urbana contemporanea.

Ma nonostante questi problemi restituenti un evidente “deficit di urbanità”[3], nel tempo si sono insediate importanti realtà dipartimentali per la didattica e la ricerca all’interno dei settantasette ettari dell’area, “con centinaia di docenti e ricercatori nonché migliaia di allievi frequentanti quotidianamente gli oltre 117.000 mq delle strutture costruite”[4], così formandosi una comunità universitaria di grandi potenzialità, che necessita di una ben più qualificata caratterizzazione insediativa. 

Il progetto Mastercampus dell’Università di Parma vuole liberare tale potenziale inespresso e, attingendo dalla tradizione del campus universitario anglosassone, innanzitutto rendere l’insediamento di via Langhirano un luogo abitato e non solamente frequentato durante fasce orarie giornaliere. Ma l’abitare, particolarmente nel campus universitario, diventa un’azione che deve assumere un presupposto a carattere intellettuale. A differenza di altri contesti urbani infatti, il campus per sua natura è abitato da persone che si dedicano a vario titolo alla formazione e alla ricerca; docenti, ricercatori e studenti fanno parte di quella comunità accademica con “propensione auto-riflessiva, analitica e sintetica, […] capace di esprimere strumenti qualificati di analisi e di progetto per la trasformazione del proprio habitat”[5], con ricadute positive per tutta la società.

Per tale motivo il progetto assume il Campus Universitario Scienze e Tecnologie dell’Università di Parma “[…] quale modello ideale dove sperimentare la realizzazione di scenari avanzati per la città futura in generale, intesa nei suoi aspetti sociali, culturali, economici, ambientali e di identità rappresentativa”.[6] Se infatti l’università è l’istituzione propensa alla ricerca e alla scoperta, e se la città, in particolare quella europea, risulta oggi notevolmente influenzata da un mondo globalizzato uniformante che tende ad indirizzi condizionati dall’economia della conoscenza e dall’innovazione tecnologica, Mastercampus assume le linee guida dettate dall’Unione Europea per una competitività internazionale e cerca di interpretare quelle che sono le nuove esigenze legate alla ricerca e allo sviluppo, reinterpretando il tipo insediativo del campus sotto una chiave fortemente sperimentale e allo stesso tempo di valorizzazione delle peculiarità locali.

Per fare questo, la scelta è sia quella di aprirsi alla città, incrementando su più livelli le relazioni istituzionali con la Municipalità di Parma (dal potenziamento delle infrastrutture di collegamento agli eventi culturali) e mettendosi in rapporto con il mondo produttivo, che può così trovare spazio all’interno dello stesso campus, sia intensificare la rete di scambi internazionali, allargando relazioni su vari livelli e rendendosi attrattivo potenziando il proprio Know-how.
Tutto il sistema, così come lo stesso progetto Mastercampus Scienze e Tecnologie, fa parte della Mastercampus Strategy che coinvolge anche tutti gli altri poli insediativi dell’Università degli Studi di Parma presenti all’interno dell’organismo urbano. Si costituisce così un quadro complessivo con una potenzialità notevole e con benefiche ricadute per tutto il contesto cittadino e in generale del territorio di riferimento, come già sta avvenendo con l’apertura del Museo dello CSAC e le molteplici attività avviate.

Dunque in Mastercampus progetto e strategia metodologica si intrecciano. Per liberare tutto il potenziale inespresso e sintetizzare in forme il processo, è stata predisposta una piattaforma integrata di discipline, conoscenze e tecniche che prevede un’articolazione progettuale ordinata per aree tematiche di intervento, supportate da specifiche schede propositive redatte da gruppi di ricerca guidati da docenti e ricercatori dell’Ateneo.
Un continuo dialogo e confronto tra i gli attori che vivono e alimentano lo stesso insediamento universitario ha quindi permesso di raggiungere una consapevolezza rispetto ai bisogni e alle quantità necessarie per poter disegnare il masterplan di progetto, con l’obiettivo di dare una rappresentazione qualitativa, conferendo senso formale, alla distribuzione quantitativa e funzionale.
La forma finale, in questo caso, la si raggiunge intervenendo su un’area già costruita, avvalendosi della tecnica di densificazione [7], quindi costruendo nel costruito. Nel ridisegnare la matrice insediativa si tiene conto anche della caratterizzazione storico-geografica, consapevoli di stare tra città e campagna, all’interno di un territorio in cui l’impronta della centuriazione è ancora ben presente. 

Questi presupposti vengono metodologicamente interpretati attraverso la composizione architettonica e urbana. Lo spazio principale di questa rinnovata parte di città, nucleo di tutto l’intervento, è simbolicamente la componente urbana per eccellenza, la piazza, dove si collocano i servizi collettivi, quali il campus market, la mensa (Ristora-Net), lo Science Bar, la Casa dello Studente e lo Science Center, costituendo una massa critica sufficiente a rendere il luogo un centro attrattivo del sistema. Il tentativo è raggiungere un equilibrio tra centripeto e centrifugo per costituire uno spazio definito ma che allo stesso tempo non venga percepito chiuso. 
La piazza si trova all’intersezione di un cardo ed un decumano a richiamo appunto del contesto storico-geografico nel quale il campus si inserisce: l’asse nord-sud collega una parte residenziale esterna - che ora viene inglobata nel sistema, costituita da altri servizi quali, un supermercato, una palestra con piscina ed un cinema multisala, sfruttando anche molti parcheggi esistenti inutilizzati per poter permettere la riduzione del traffico veicolare all’interno dell’area - e la Corte di Scienze degli Alimenti, che vista dalla piazza costituisce un fuoco prospettico che richiama il fruitore al suo interno e lo connette con i Food-Labs posti a sud, attraverso una progressiva riduzione della densità costruita, aprendosi poi verso la campagna circostante. 

Le residenze-laboratorio - spazi per la ricerca sui prodotti alimentari, grande tema propulsivo dell’economia del territorio emiliano - costituiscono un filtro tra l’”urbanità” del campus e l’aperta campagna; l’idea è quella di non progettare barriere, di non chiudere il campus, ma con la ordinata disposizione degli edifici e la relativa proporzione degli spazi tra essi si determina l’essere dentro o fuori dal complesso; l’asse est-ovest invece connette la parte sportiva ad ovest con un pezzo di campagna ad est, dove sono collocati altri Food-Labs. 

L’intero sistema si completa attraverso un asse che dalla Corte di Scienze degli Alimenti procede verso l’ingresso ad ovest del campus universitario; a questo si “aggrappano” altri spazi, come una piccola corte preesistente, alcuni dipartimenti e soprattutto il nuovo Polo dell’Innovazione. Questo è un incubatore di aziende che permette il lavoro a stretto contatto tra imprese del territorio e ricercatori universitari, attivando così un altro di quei livelli di relazione di cui si parlava precedentemente, tra città ed università.  

L’obiettivo di Mastercampus è quindi quello di un superamento del concetto di campus per come lo si è inteso finora; pur ripartendo da questo tipo insediativo, punta a costituirsi come quartiere urbano modello, un insediamento nuovo che assuma i caratteri della città, con alcuni suoi tipi di spazi, pur rispettando la prevalenza di funzioni, fruitori e abitanti dell’università. 
Rispetto ad altri casi della storia, in cui il campus entra in città, ne costituisce una parte o addirittura la genera, qui è la città ad entrare nel campus universitario preesistente. 

L’esperienza svolta all’interno del processo progettuale stimola quindi il ragionamento rispetto ad alcuni nodi concettuali che si propongono come presupposti per una riflessione più ampia legata ai temi dell’architettura. 

Innanzitutto è importante ripartire dalla tradizione del campus universitario anglosassone. Voler elevare un insediamento universitario a campus attraverso l’inserimento di residenze per studenti, ricercatori e docenti, significa volersi inserire in questa tradizione ed è importante coglierne i caratteri e lo spirito che la contraddistinguono.

Come sappiamo il tipo del Campus nasce negli Stati Uniti d’America e lo si identifica universalmente nel suo esempio maturo, quello di Thomas Jefferson per l’Università della Virginia; qui si forma una comunità di docenti e studenti che abitano il luogo, qualificato dalla presenza dal grande Lawn centrale, come spazio di ritrovo della comunità, e dalla Rotunda, quest’ultima fuoco prospettico principale e spazio della conoscenza al quale tutti possono accedere. 

L’abitare favorisce il formarsi di una comunità che vive a stretto contatto e condivide la missione che è chiamata a svolgere. Infatti lo studio e la ricerca razionali verso la verità scientificamente dimostrata, presuppongono un atteggiamento sperimentale; per tale motivo si potrebbe dire che comunità e sperimentazione sono due caratteri vocazionali dell’università e in questo caso si definiscono e rappresentano tramite un preciso tipo insediativo.

Come ci ricorda Maria Cristina Loi, all’academic village presso Charlottesville viene dato il “[…] nome campus col quale fin dal periodo coloniale venivano chiamate le università-college in generale […]” e attraverso questo progetto, Jefferson gli dà una definizione compiuta; non solo dal punto di vista terminologico, ma per il fatto che in questa nuova istituzione, “[…] campus significò attività in comune, city in microcosm, nucleo generatore della città in crescita intorno a esso”.[8] 

Curiosamente un insediamento progettato volutamente al di fuori della città, un academic village appunto, si scopre contenitore di uno dei principi urbani stessi. Questo porsi fuori dalla città è un aspetto che lo stesso Canella rileva in tutti gli insediamenti universitari, definito come antiurbanità.[9] Egli nei suoi studi sul tema universitario della fine degli anni Sessanta sostiene che “Il tratto fondamentale che contraddistingue l’insediamento universitario, fin dal suo affermarsi come entità fisica specifica in epoca medievale, è quello della segregazione dalla città”[10]. Quindi, l’essere dentro o fuori alla città poco importa. L’università pretende una propria autonomia; lo studio e la vita universitaria non devono essere assorbiti dalla vita urbana. Ma come dicevamo è vero anche che all’interno dei luoghi universitari spesso si genera comunque una vita collettiva piuttosto intensa.
Quest’ultima però non è sufficiente perché l’insediamento possa essere definito città, o come accade per quello che sembra essere il primo esempio di campus in Europa, la Ciudad Universitaria de Madrid[11], di vita in comune forse non si può nemmeno parlare; in quel caso, così come per altri dello stesso periodo storico, “il termine di città universitaria risulta del tutto anacronistico, riferibile come è alla consistenza numerica della popolazione e volumetrica dell’intervento, piuttosto che alla trama sociale”.[12] 

L’esempio madrileno è comunque sintomatico di un atteggiamento europeo, quello di riconoscere nella città il massimo grado di rappresentazione per una civiltà. Ma nella condizione contemporanea lo stesso concetto moderno di città tende sempre più a dissolversi, sia nella forma che nella sua struttura. Lo sviluppo urbano più recente, avvenuto in discontinuità rispetto alla matrice insediativa europea, ha portato alla teorizzazione di concetti quali l’Anticittà, in cui prevale il carattere della disgregazione, tipico del fenomeno dello Sprawl. Siamo quindi andati “oltre la città”[13], ma questo provoca solo una “condizione oggettuale”[14] dell’architettura, con assenza di logiche relazionali, proprio le uniche in grado di alimentare una comunità (intesa appunto come trama sociale), da non confondere con la sommatoria di consumatori che si recano in quei centri commerciali utilizzati come catalizzatori di massa.
Negli ultimi anni però, in Europa, sembra che sia tornata una “nuova “domanda di città” che deriva dal rilancio del ruolo urbano a fronte della crisi degli stati-nazione […]”[15]. Questo fatto non può che rilanciare la città, così come viene intesa in Europa, soprattutto per un fattore di esperienza sull’evoluzione del fenomeno insediativo.

La stessa Unione Europea, dalla Dichiarazione di Toledo in poi, promuove sul piano politico la città, in particolare secondo l’accezione in voga oggi di Smart City, apparentemente frutto “[…] dell’intendere la qualità insediativa quale mero ambito performativo ad esempio in chiave energetica, dei trasporti e delle comunicazioni, dell’ambiente. Un insieme di fattori, pur della massima importanza, che però evidentemente non bastano per fare la città […]”[16]. Alla Smart City tendono gli obiettivi Europa 2020, supportati attraverso lo strumento finanziario Horizon 2020 che mira ad incentivare ricerca e sviluppo sul tema.Questo indirizzo intrapreso dall’Unione fa emergere nuove necessità di competitività a livello globale, in cui la componente universitaria è chiamata a giocare un ruolo importante; non più da sola, estraniandosi dal resto del contesto in cui si trova, ma necessariamente attraverso collaborazioni sinergiche con tutti gli altri attori del mondo produttivo e della ricerca legati al progresso tecnologico, e con le municipalità di riferimento. 

Dunque si prospetta inevitabilmente un rinnovamento a livello sia fisico che concettuale per il tipo insediativo del campus e la difficoltà sta nel mantenerne alcune caratteristiche originarie contemporaneamente alla volontà (necessaria) di dare una rappresentazione urbana a quello che la nostra epoca richiede, come può essere il dover trovare rapidamente soluzioni per contesti in rapida crescita, influenzati dall’incalzare di nuove dinamiche economiche, sociali, ambientali etc., senza pregiudicare quello che deve essere il senso formativo (per le nuove generazioni) di un luogo universitario come questo.
Ma come diceva Gardella riferendosi all’architettura, “L’unico modo di avere continuità autentica è quello di cambiare. La continuità non consiste nell’immobilismo, ma nel continuo fluire e il fluire è analogo a quello dell’acqua di un fiume: se l’acqua ristagna, il fiume e l’architettura diventano palude”[17]. Quindi il cambiamento non necessariamente interrompe un’idea, un concetto, ma permette di rafforzarlo, di ripulirlo dagli strati superficiali per riscoprirne l’essenza e dare continuità alla sostanza che l’ha scaturito attraverso l’introduzione di nuove componenti che costituiscono un aggiornamento e una rivitalizzazione.

Portando all’estrema sintesi il senso di un luogo universitario, potremmo affermare che esso risieda nella ricerca continua della conoscenza e del modo caratteristico attraverso il quale essa si compie: non solo con lo studio individuale ma soprattutto attraverso lo scambio di informazioni, il confronto e il dialogo continuo tra i protagonisti di questa missione, all’interno di un processo in divenire che tende alla scoperta delle verità nascoste, sperimentando continuamente soluzioni innovative. Questo obiettivo guida per esempio la pubblicazione Campus and The City, in cui si provano ad elaborare concetti teorici che guidino una rinnovata immagine del campus universitario riconosciuto appunto quale luogo per una società della conoscenza (Knowledge Society) integrandolo con la città.[18] 

Aprirsi quindi alla città, mettersi a sistema con essa e relazionarsi con il mondo esterno in generale, sia rispetto a situazioni già esistenti, sia per campus di nuova fondazione, presuppone un ragionamento su quella che è la collocazione, la posizione che l’insediamento ha rispetto al resto del territorio. 
Il posizionarsi in architettura, come già in Vitruvio, ha la sua importanza rispetto a qualcosa: rispetto all’ambiente e al ciclo solare; rispetto alle vie di comunicazione e rifornimento (come percorsi d’acqua, assi stradali o ferrovia). Ma oggi, se è vero che stiamo procedendo verso una economia della conoscenza, diventa assolutamente importante il posizionamento dei centri del sapere e della ricerca sperimentale rispetto alla città e ai centri produttivi, e viceversa. Questo, a seconda della distanza tra i poli, attiva tutta un’altra serie di ragionamenti. 

Già in una intervista del 1968 Nuno Portas rileva come l’università costituisca un mezzo sociale e la formazione spesso progredisca più all’interno di spazi esterni alla didattica che nelle aule propriamente dette;[19] caffè, mense, spazi comuni nelle biblioteche, sono luoghi che assumono una certa importanza per lo scambio del sapere. Allo stesso modo si potrebbe traslare l’affermazione a livello urbano e considerare i mezzi di trasporto, gli assi viari e le infrastrutture come possibili luoghi dell’apprendimento e scambio di informazioni. 
Quindi la tendenza dovrebbe essere quella di permettere una circolazione del sapere più libera, che pervada la società stessa, evitando sempre di più la specializzazione dei luoghi, senza però perderne una prevalenza dei caratteri.
Nello stesso testo-intervista anche José Martins Barata, continuando sullo stesso filo logico, esplora la possibilità di uno sviluppo universitario come creazione di una immagine modello di città, ampliando il discorso a tutto il sistema dell’istruzione, che dalle scuole deve iniziare un percorso di inserimento degli allievi nella società, arrivando ad una partecipazione mediata attraverso il filtro universitario.[20] Per tale ragione, per poter replicare certe dinamiche urbane, è chiaro che l’architettura giochi il suo preciso ruolo all’interno dell’insediamento. 

In Mastercampus, come detto, la città entra nel campus universitario, ovvero la componente urbana entra all’interno di un insediamento con una funzione specifica ed esclusiva; infatti, ancora una volta, è della città e del suo futuro che è necessario discutere. 
Il progetto di Parma riconosce così nel campus un luogo urbano “ritrovato”, dove si possano sperimentare scenari avanzati per l’evoluzione della città stessa, e per farlo cerca di costruire quelli di partenza, proponendo una nuova strada per l’architettura di questo tipo insediativo, ridefinendo e strutturando l’area con una nuova matrice di base, attraverso la metodologia compositiva identitaria per la città europea, fatta di tracciati, spazi conformati attraverso la giustapposizione di edifici, precise distanze e prospettive, costruendo una scena urbana fatta di figure con caratteri nuovi che vada a costituire il nuovo nucleo dell’insediamento; tuttavia senza rinunciare ai grandi spazi aperti e verdi spesso presenti nei campus universitari, che qui costituiscono una graduale relazione con il contesto rurale a sud dell’area, contribuendo alla forma e alla definizione generale del nuovo quartiere urbano modello. 

Oggi, quindi, il tema del campus universitario non è più così distante da quello della città. Probabilmente può contribuire ad aprire un dibattito architettonico e urbano nuovo, con punti di vista, come quello economico, della sostenibilità, della specializzazione del sapere e della tecnologia, che spesso “distraggono” l’architetto, assimilati una volta per tutte all’interno dell’architettura del campus universitario (e non solo).
Ma è importante, innanzitutto, attivare il “momento analitico dell’architettura”[21], analizzando esempi originari, campus avanzati e in generale la città europea, per estrarne le matrici significanti che possano costituire, in una sintesi, l’elemento di partenza per proporre un nuovo modello di campus universitario europeo, riconoscendo nell’organizzazione dello spazio[22] e nella sua definizione (intesa come atto del definire, limitare) formale, una delle qualità proprie di questo tipo insediativo; interessante è anche capire come, attraverso l’architettura, questa definizione e forma generale possa integrare le nuove necessità di relazione con la città di riferimento e con il contesto nel quale si inserisce - tenendo conto della posizione in cui si colloca –, oltre  che i bisogni di flessibilità funzionale e di relazione interna tra edifici e spazi aperti, che apparentemente sembrano contraddirla e metterla in crisi.   

Note
[1] Per uno spunto analitico sulla situazione attuale e la tradizione degli insediamenti universitari nel caso di Parma, una spiegazione esauriente del progetto Mastercampus e di tutte le attività avviate all’interno della Mastercampus Strategy, si rimanda ai testi di Carlo Quintelli presenti in “Mastercampus: il campus come quartiere urbano modello”, dossier prodotto dal Mastercampus-Lab per la presentazione del progetto, Università degli Studi di Parma, giugno 2014 e al sito internet www.mastercampus.it
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
[7] Per una elaborazione del concetto di densificazione urbana si vedano le ricerche svolte nell’ambito del dottorato di ricerca sotto la guida del Professor Carlo Quintelli, consultando le tesi di dottorato di:N. Montini, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di parti di città, Parma, 2015
A. Nolli, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane in sistema di relazione policentrico, Parma, 2015
P. Strina, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di tipo metropolitano, Parma, 2015 
[8] M. Loi, Thomas Jefferson, 1734-1826. Primo architetto americano, Torino, 1993
[9] G. Canella, L. Stellario D’Angiolini, Università, ragione, contesto, tipo, Bari, 1975
[10] Ibidem
[11] P. C. Calvo-Sotelo, Joan Martha Costello, The Journey of the Utopia: The Story of the First American Style Campus in Europe, Nova Science Publishers, Hauppauge NY, 2005
[12] G. Canella, Ibidem
[13] C. Quintelli, Oltre la città, FAmagazine, anno IV, n. 24, Settembre 2013 
[14] Ibidem
[15] C. Quintelli, City again?, in L. Amistadi, E. Prandi, European City Architecture. Project Structure Image, Parma, 2011
[16] C. Quintelli, Oltre la città, Ibidem
[17] F. Nonis in, P. Ciorra e A. Rosati (a cura di), FOOD dal cucchiaio al mondo, Catalogo della mostra, MAXXI, Quodlibet, 2015
[18] K. Christiaanse, K. Hoeger, Campus and the city: urban design for the knowledge society, Zurich, 2007
[19] N. Portas, J. Martins Barata, A Universidade na Cidade: problemas arquitectónicos e de inserção no espaço urbano, in “ANÁLISE SOCIAL” n. 22-23-24. Vol. VI, 1968, pp. 492-509.
[20] Ibidem
[21] A. Rossi, L’architettura della città, CittàStudi, Milano, 2006.
[22] A proposito dell’organizzazione dello spazio, si veda lo scritto del 1962 di Fernando Távora, Da organização do espaço, Porto, 1962, riportato anche in edizione Fac-Simile, FAUP Publicações, Porto, 1982. Trad. It. parziale di Giovanni Leoni: Organizzare lo spazio, in ‹‹Casabella››, LXV, 2001, n°693, p. 46-49.

Bibliografia
AA. VV., La Regione Culturale. Ipotesi di un modello insediativo per l’Università di Parma, Etas Kompass, Parma, 1973 
L. Amistadi, E. Prandi, European City Architecture. Project Structure Image, Parma, 2011 
I. Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 1993 
G. Canella, L. Stellario D’Angiolino, Università, ragione, contesto, tipo, Bari, 1975 
K. Christiaanse, K. Hoeger, Campus and the city: urban design for the knowledge society, Zurich, 2007 
M. Loi, Thomas Jefferson, 1734-1826. Primo architetto americano, Torino, 1993 
Fabio Nonis in, Pippo Ciorra e Alessio Rosati (a cura di), FOOD dal cucchiaio al mondo, Catalogo della mostra, MAXXI, Quodlibet, 2015 
N. Portas, J. P. Martins Barata, A Universidade na Cidade: problemas arquitectónicos e de inserção no espaço urbano, in "ANÁLISE SOCIAL" n. 22-23-24. Vol. VI, 1968, pp. 492-509. 
C. Quintelli, Economia della forma urbana, FAmagazine, anno III, n. 18, Maggio 2012 
C. Quintelli, Architettura e crisi: fori urbani contro garage?, FAmagazine, anno III, n. 17, Febbraio 2012 
C. Quintelli, Mastercampus: il campus come quartiere urbano modello, Dossier di presentazione del progetto Mastercampus, Università degli Studi di Parma, Parma, giugno 2014 
C. Quintelli, Oltre la città, FAmagazine, anno IV, n. 24, Settembre 2013  
A. Rossi, L’architettura della città, CittàStudi, Milano, 2006
P. C. Calvo-Sotelo, J. M. Costello, The Journey of the Utopia: The Story of the First American Style Campus in Europe, Nova Science Publishers, Hauppauge NY, 2005
F. Távora, Da organização do espaço, Porto, 1962, riportato anche in edizione Fac-Simile, FAUP Publicações, Porto, 1982
Tesi di dottorato: N. Montini, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di parti di città, Parma, 2015
Tesi di dottorato: A. Nolli, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane in sistema di relazione policentrico, Parma, 2015
Tesi di dottorato: P. Strina, Tecnica di densificazione attraverso le centralità urbane di tipo metropolitano, Parma, 2015

Sitografia
www.mastercampus.it
www.csacparma.it

Andrea Matta, laureato in architettura, è dottorando in “Architettura e Città” presso il DICATeA dell’Università degli Studi di Parma. Fa parte del Mastercampus-Lab e ha partecipato al progetto Mastercampus della stessa università. Attualmente sta svolgendo un periodo di studi presso la FAUP, Porto.



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