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Festival dell'architettura

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Tommaso Brighenti

L'osservazione, l'atto e la forma

L’insegnamento dell’architettura nella Scuola di Valparaíso

Atto poetico di apertura dei terreni della Città Aperta, 1971. Archivio storico José Vial, PUCV, Valparaiso - ZOOM

Atto poetico di apertura dei terreni della Città Aperta, 1971. Archivio storico José Vial, PUCV, Valparaiso

Abstract

La scuola di Valparaíso da oltre sessant’anni rappresenta un episodio singolare nella scena architettonica internazionale e costituisce uno dei fenomeni culturali e sorprendentemente creativi più rilevanti nell’America Latina contemporanea, riconoscendosi per le proprie idee e per la capacità di concepire il suo proprio linguaggio. In questo testo si cercherà di descrivere le peculiarità del loro insegnamento mettendo in relazione tre momenti essenziali della loro didattica: l’osservazione, l’atto e la forma.


[...]En tanto me siento al borde de mis ojos
Para asistir a la entrada de las imágenes[...]
[1]


Le Corbusier, attraverso il metodo analitico e percettivo, sosteneva che annotando per mezzo del rilievo dal vero di spazi, architetture e paesaggi, «si poteva risalire all’essenza delle cose, alle loro relazioni con la città, ai rapporti di misura tra le parti e il tutto, ai materiali da costruzione»[2].

Queste affermazioni influenzarono in modo decisivo Alberto Cruz[3] e i docenti di Valparaíso che hanno sempre considerato il disegno un mezzo fondamentale attraverso il quale si richiede allo studente di osservare con precisione e di tradurre l’osservazione in termini architettonici, trasferendola nella memoria attraverso schizzi e disegni, strumento di analisi e mezzo per scoprire ciò che è intuitivo. L’esperienza dello studente, dunque, si deve basare sulla manualità del disegno ma soprattutto l’osservazione costituisce uno degli elementi fondamentali dell’insegnamento dell’architettura per questa scuola.

Esaminando alcuni appunti di Cruz, compaiono una serie di descrizioni. Una di esse riporta la gestualità di un autista di autobus durante la guida. Cruz riporta che egli poggia le mani sul volante, poi mette la freccia e per metterla deve girare il braccio in un certo modo e accompagna questa osservazione con una serie di disegni che rappresentano la sequenza dei movimenti principali fatti dall'autista.

Ci si chiede pertanto che cosa significa osservare un episodio di questo genere e che utilità possa avere per la formazione di un architetto. Anzitutto, l’osservazione è un fatto metodologico, che non è legato ad una persona ma è un principio comportamentale.

A differenza di un atteggiamento proveniente da una cultura idealista che ritiene che la cosa più importante sia formulare l’idea e poi trasferirla nell’opera, a Valparaíso l’approccio è di tipo fenomenologico, ossia basato sul fatto che tutto ciò che vediamo è l’apparenza di qualcosa di essenziale. Proprio per questo, occorre prestare molta attenzione a ciò che ci circonda e a quello che osserviamo, liberandoci così «dall'occultamento in cui i nostri pregiudizi rischiano di far cadere il mondo».

Osservare significa quindi guardare le cose al di là del visibile, stabilendo in ciò che sembra evidente un senso nuovo: è come «il seme di una piccola teoria, di una teoria sullo spazio fatta in una determinata circostanza»[4] e rende possibile la comprensione del mondo obbligandoci a costruire un punto di vista su di esso. Per questo motivo all’interno di questa scuola si utilizza la poesia nell’insegnamento, proprio poiché i poeti[5] sono coloro che ci possono insegnare ad osservare il mondo.

Josè Vial Armstrong[6] insegnava ai suoi allievi che, quando si guarda lo si fa attraverso una trama, una griglia, una rete, che chiunque ha costruito da quando è nato. Questa sorta di trama che tutti hanno davanti agli occhi è differente perché dipende da dove si è nati, dalle proprie origini, dai propri genitori, da cosa si ha ascoltato da loro, dalla scuola frequentata, dagli amici. Tutto ciò dà concorre a dare forma al nostro modo di vedere. Allora quando si guarda, si vede proprio attraverso questa rete, si vede il bene e il male, il bello e il brutto, il morale e l’immorale. Questa rete, è il nostro modo di essere, di confrontarci con il mondo. É la nostra origine.

Ma cosa significa osservare? Vedere il mondo senza questa rete.

«Io guardo la città che mi circonda (indicando la città di Santiago), se tengo la “rete” davanti agli occhi vedo solo povertà, miseria, ma se la tolgo all’improvviso e provo ad osservare vedo i colori, vedo la moltitudine degli edifici che sembrano quasi un quadro di Piranesi, potrei vedere quasi una scultura contemporanea»[7].

Ma l’osservazione è solo il primo fondamentale passo per il lungo processo per giungere alla forma che si concretizza grazie a un nuovo elemento: l’atto. Va specificato prima di tutto che questi tre elementi osservazione, atto e forma, hanno una parte chiara e una parte oscura. Non sono qualcosa di scientifico, di facilmente teorizzabile, non sono un assioma o una definizione, ma hanno, tuttavia, un significato assai preciso per questa scuola.

L’osservazione è la strada per riuscire a concepire un rapporto tra l’atto e la forma. Questa relazione è ciò che sta alla base di tutto quello che si fa nella scuola. Il Bauhaus teorizzava che la forma dovesse seguire la funzione, nel senso che funzioni come l’abitare, il mangiare, il riposare, il lavorare, prendessero una determinata forma attraverso un rapporto insostituibile. Per la Scuola di Valparaíso non è così: esiste nell’architettura una meta-funzione e questa meta-funzione viene chiamata atto.

Quello che viene insegnato agli studenti è un avvicinamento verso questo atto ma non un procedimento sistematico, bensì qualcosa che ci si prefigura, che si preforma nella mente sulla base di quanto si sta osservando. Non è ancora architettura ma è la strada per giungere ad essa.

«Per esempio l’uomo fa molte cose, mangia, dorme, beve, ma alcune cose come ad esempio pregare potrebbero essere fatte dappertutto. Ma durante la storia l’uomo ha creato un modo per pregare, ha inventato una cattedrale gotica o rinascimentale creando la luce per poter pregare meglio. Ha creato uno spazio per poter pregare. E così per esempio tante cose vengono create da architetti o da non architetti. Per esempio una donna a Valparaíso sta lavando i vestiti sporchi. E per lavare meglio si è costruita un piccolo tetto di paglia. Davanti c’è l’orizzonte del mare e questa città che ti avvolge. Questa donna è li e sta lavando sospesa in una situazione in cui il semplice lavare arriva ad una stato paragonabile al pregare dentro una cattedrale gotica. Quindi anche in un piccolo spazio c’è un atto, in questo caso l’atto di lavare che porta un gesto semplicissimo, quotidiano, ad un livello di elevazione, porta l’uomo a uno stato superiore. Allora puoi lavare rinchiuso in una stanza, ma ti dico che quel lavare, sotto quel piccolo tetto, possiede un qualcosa di architettonico, ma non è ancora un’architettura, però possiede qualcosa di architettonico»[8].

Che cosa è quindi l’atto? L’atto è quanto proviene dall’esperienza e permette così di concepire la forma, è il segreto religioso di cui parlava Edoardo Persico, ciò in cui si concretizza il processo compositivo che nel caso della Scuola di Valparaíso raggiunge il suo massimo livello nel rapporto con la poesia.

Infine si arriva alla forma che diventa quindi l’ultimo passaggio di questo processo in grado di accogliere in se l’atto, in grado di «avvolgerlo come un regalo avvolto in maniera speciale»[9].

La teoria della forma è interamente scritta da Alberto Cruz in un progetto che si chiama la Cappella Pajaritos. La cappella non fu mai realizzata ma il progetto, sin dalla sua pubblicazione nel 1954 negli Annali dell’Università Cattolica di Valparaíso, è rimasto un riferimento fondamentale assumendo un ruolo di manifesto architettonico capace di riassumere la prima espressione concreta delle teorie della scuola.

Questo progetto prevedeva una piccola cappella con la sua sacrestia ampliabile all’esterno con un tempietto destinato ad ospitare l’immagine della Vergine. Oltre ai disegni e agli schizzi dell’edificio venne redatto un testo che «dimostrava la capacità dell’architettura di costruire un proprio discorso teorico»[10], questo testo è riportato negli Annali[11].

Qui viene spiegato con chiarezza come l’opera architettonica dovesse essere il risultato di un processo di ricerca conoscitivo e che l’architettura non è il risultato di un’opzione all’interno di un repertorio formale ma «una forma concepita come risultato espressivo di un approccio teorico»[12]. La forma e non le forme, al plurale, come convergenza degli elementi fisici, della materia, del luogo, che si mette al servizio del costruire l’atto.

Da questo progetto sono emerse una serie di questioni. Ad esempio: come deve essere la forma di un edificio nel quale si prega?

Scrive Perez Oyarzun a riguardo: «[…] interrogandosi sulla forma architettonica più appropriata per la preghiera, gli autori si ispirarono a una serie di esperienze concepite come atti, i quali vennero poeticamente trasferiti nel disegno. Formalmente la cappella era concepita come un cubo di luce, inteso come forma dell’essenza, figura non ovvia. L’apparente semplicità del volume nascondeva la complessità dell’articolazione di una serie di cubi di misure diverse, disposti ora simmetricamente ora asimmetricamente, all’interno di un prisma virtuale, assimilabile a due cubi, uno pieno, l’altro vuoto. Il cubo di luce acquistava forma a seconda dell’illuminazione dello spazio interno […]»[13].

Emergeva così oltre al problema della forma la nozione di spazio moderno «inteso come una sorta di sostrato poetico e materiale di una vita complessa e contraddittoria, in cui si toccano passato presente, ordinario e straordinario, popolare e raffinato» [14], una vita che, citando Focillon, agisce essenzialmente come «creatrice di forme», vita che è forma stessa in cui lo spazio è il suo dominio.



[1][…]Mi son seduto nell’orlo dei miei occhi/ a vedere come entravano le immagini[…] in Vincente Huidobro, Alzator, Canto I.

[2]Augusto Angelini, La poetica della Scuola Amereida, in Community/Architecture. Festival dell’Architettura 5 2009-2010, a cura di Enrico Prandi, Casa editrice del Festival dell’Architettura di Parma, Parma, 2010, pp. 115-123.

[3] Alberto Cruz Covarrubias (1917-2013), nato a Santiago del Cile, si laurea presso la Facoltà di Architettura dell'Università Cattolica del Cile, nel 1939. Dal 1942 diventa professore assistente al Taller di Composizione decorativa presso la Facoltà di Architettura della Università Cattolica del Cile. Successivamente assieme all'architetto Alberto Piwonka crea il Curso del Espacio, corso fondamentale per il suo approccio alla forma che avrà un successivo sviluppo nelle attività portate avanti nella Scuola di Valparaíso. Nel 1949 partecipa alla ristrutturazione complessiva del curriculum della scuola e, un anno dopo, viene nominato professore del Taller Arquitectonico. In aggiunta al suo lavoro accademico, Cruz inizia a formare un gruppo di lavoro a Santiago, dove architetti e artisti si impegnano nella realizzazione di studi teorici di architettura, arte e poesia. Nel 1952 entra a far parte della Facoltà di Architettura dell’Università Cattolica di Valparaíso, portando con se i membri di questo gruppo e diventando uno dei fondatori dell'Istituto di Architettura e Pianificazione. Alberto Cruz, rappresenta una delle figure più carismatiche della storia dell’architettura latinoamericana e il suo contributo teorico è stato fondamentale per la storia dell’insegnamento dell’architettura in Cile.

[4] Tratto da un’intervista dell’autore a Salvador Zahr Maluk. 5 dicembre 2013, Valparaíso.

[5] La poesia ricopre un ruolo determinante nella scuola di Valparaíso. L’unione tra poesia e architettura porta a riflettere sulla condizione umana. Il poeta è visto come un «alchimista che usava l’immaginazione per trasformare in arte gli eventi più sordidi e prosaici del reale» e, attraverso la parola riesce ad associare i processi di trasformazione del mondo che ci circonda all’interpretazione di esso. 

[6]Josè Vial Armstrong, è stato uno dei docenti più influenti della Scuola di Valparaíso, appartenente alla generazione di Alberto Cruz, ha contribuito alla nascita e alla crescita della Scuola. Armstrong appartiene ai membri fondatori della Città Aperta e dell’archivio storico della scuola che prende il suo nome ed è tutt’ora in opera.

[7] Tratto da un’intervista dell’autore a Bruno Barla. 16 novembre 2013, Valparaíso.

[8] Tratto da un’intervista dell’autore a Bruno Barla. 6 dicembre 2013, Valparaíso.

[9] Ibidem

[10] Fernando Perez Oyarzun, Ortodossia / Eterodossia , in “Casabella” n. 650, novembre 1997, pp. 11-15.

[11] Il testo si intitola, Proyecto para una Capilla en el Fundo Los Pajaritos e si trova all’interno del volume intolato Foundamentos de la Escuela de Arquitectura. Universidad Catolica de Valparaiso, 1971.

[12] Aa.Vv., Scuola di Valparaiso. Città Aperta, a cura di Paul Rispa, con saggi di Rodrigo Perez de Arce e Fernando Perez Oyarzun, Logos, Modena 2003.

[13] Fernando Perez Oyarzun, Ortodossia / Eterodossia , in “Casabella” n. 650, novembre 1997, pp. 11-15.

[14] Ibidem


Tommaso Brighenti, nato a Parma nel 1985, ha studiato al Politecnico di Milano laureandosi nell’anno accademico 2010/2011 e dove attualmente frequenta il dottorato in Composizione Architettonica e svolge diverse attività di supporto alla didattica. Ha partecipato a concorsi e ricerche progettuali nazionali ed internazionali, collaborando con alcuni studi e Università italiane tra cui il Politecnico di Torino e l’Università di Parma.

Schizzi e annotazioni di Alberto Cruz sull’osservazione - ZOOM

Schizzi e annotazioni di Alberto Cruz sull’osservazione