Ricordava Arnold Toynbee che sono i momenti di crisi i veri motori dello sviluppo e del progresso di una civiltà. Sono quelle situazioni “al limite” che costringono una società ad una svolta, pena la sua stessa sopravvivenza. Sono situazioni, ricorda Saverio Muratori, affatto eccezionali nella storia dell’uomo e di cui, anzi, forse costituiscono il vero veicolo di continuità.
Quella di oggi è una crisi che coinvolge pressoché tutti gli ambiti della nostra società segnando un vero punto di svolta e di crescita per il futuro, cui le discipline dell’architettura non possono sottrarsi, pena la loro marginalizzazione. Non v’è dubbio, allora, che l’architettura del XXI secolo dovrà necessariamente rispondere a principi di sostenibilità, economicità e qualità. Ma può un edificio essere economico, sostenibile e architettonicamente di qualità? La risposta è sicuramente affermativa, soprattutto per quel che riguarda l’architettura della casa. Il motivo è da ricercarsi, ancora una volta, nella rivoluzione informatica di fine millennio e nell’adozione di strumenti operativi globali nelle loro potenzialità operative che accomunano, sempre più, qualsiasi processo creativo. Seppure i “prodotti” siano sensibilmente differenti tra loro (automobili, aerei, navi, “case”) lo strumento informatico ha portato a una sensibile coincidenza dei rispettivi processi produttivi rivoluzionando in modo radicale il modo di pensare, progettare e realizzare, l’architettura. La precisione di una progettazione digitale e di una costruzione “in vitro” degli elementi della casa consente, infatti, un elevato grado di risparmio energetico, abbattendo drasticamente i tempi e i costi (economici e ambientali) di cantiere; consente un utilizzo “esatto” dei materiali, senza sprechi e soprattutto con la possibilità di riutilizzarli nel processo produttivo (di qualsiasi prodotto); consente l’adozione e la sperimentazione costante di sistemi ad alta sostenibilità energetica che trovano nell’ambiente protetto e controllato della fabbrica il loro ambiente ideale: sempre più lab sempre meno factory. Questo fa si che la fase creativa, che sta a monte del processo produttivo, acquisisca una rinnovata importanza: la progettazione (digitale) del processo è più importante del processo stesso. Ma questa è competenza tradizionale dell’architettura. La ricerca architettonica trova così in questi nuovi processi una convergenza d’interessi e di spazi operativi un tempo impensabili, trovandosi a giocare un ruolo determinante. Un’intera generazione di architetti sta conducendo, ormai da anni, una ricerca feconda e di grande interesse che è arrivata a coinvolgere alcune delle maggiori star del panorama internazionale, da Libeskind a Steven Holl, dalle belle Chamaleon House e Cantilever House, di Mark e Peter Anderson alla “Touch” House degli architetti finlandesi Heikkinen-Komonen, dalla mitica Loblolly House di Stephen Kieran e James Timberlake alla Desert House di Marmol Radziner + Associates, fino alle coloratissime IKEA House. Non entreremo nel dettaglio dei nuovi processi di prefabbricazione digitale. Un elemento però che li accomuna, di grande rilevanza, è la ricerca sui materiali. Quelli comunemente più utilizzati sono il legno, l’alluminio, l’acciaio e il cemento armato. A questi si aggiunge una ricerca pressoché infinita intorno ai materiali sostenibili, naturali, riciclati... Uno dei vantaggi della produzione “in vitro”, infatti, è quella di poter utilizzare materie di qualunque provenienza da elaborare, sperimentare, “inventare”, al fine di utilizzarli all’interno del processo costruttivo. Questo consente un sensibile abbattimento dei costi, il recupero di materiali di scarto e delle potenzialità formali di altissimo livello: tutto è potenzialmente materiale utile e la sostenibilità non è più (se mai lo è stata) un “vincolo” ma una risorsa. Non è un caso se la maggior parte delle architetture prefabbricate, non solo residenziali, di ultima generazione hanno ottenuto la prestigiosa certificazione LEED gold per l’architettura sostenibile. La nuova prefabbricazione digitale vede così convergere architettura e scienza verso l’obiettivo comune di produrre architettura di qualità a basso costo. Attuando una condivisione d’interessi, competenze e culture tecniche che si staccano prepotentemente dai settorialismi della modernità verso un “ritorno al futuro” di unità e pluralità ancora da scrivere
Va fatta un’ultima notazione. Nonostante i sistemi digitali e le macchine CNC a controllo numerico, per il taglio e la costruzione di materiali e strutture tra le più variegate, consentano oggi una vastissima gamma di sperimentazioni formali e planimetriche, la gran parte delle case prefabbricate sostenibili prediligono forme semplici, linee pure ed ariose, dove i materiali di rivestimento giocano un ruolo determinante nel definire il carattere e l’identità della casa e nello stabilire la qualità del suo rapporto con il luogo. La ragione va cercata all’interno dei processi produttivi industriali, dove essenzialità significa economia (di tempo, di risorse, di denaro). Al di là delle evidenti motivazioni funzionali, tuttavia, ci piace credere che all’origine di queste soluzioni, vi sia anche una precisa scelta culturale. Una scelta che ha a che fare con un nuovo modo di pensare l’architettura del XXI secolo, lontano dalle orge formaliste di un recente passato e più consapevole del proprio ruolo civile nella società del prossimo futuro. Una società che sulla crisi, sul suo superamento, fonda la propria rinnovata identità.
Marco Maretto è ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Parma