Scegli la Lingua

Festival dell'architettura

Ti trovi in: Home page > Archivio Magazine > Dentro la città

Sara Marini

Dentro la città

 

Berlino 2012 _ Fotografia di Sissi Cesira Roselli - ZOOM

Berlino 2012 _ Fotografia di Sissi Cesira Roselli

 

Nella norma. Il titolo di un noto saggio di Massimo Cacciari recitava Nomadi in prigione a presagire una condizione che ha assunto consapevolezza di tragicità forse solo oggi grazie al mutato scenario economico. Eppure i segnali in questi anni si sono moltiplicati ad insistere sulla necessità del ritorno in città. Saskia Sassen nei suoi differenti saggi sulla condizione urbana statunitense ha messo in evidenza il valore dell'economia della città strutturata su uno spessore e su una stratificazione molto variegata: dalla produzione dei servizi e delle idee, al lavoro informale e precario e alle reciproche dipendenze tra i due mondi. In Europa si sono moltiplicati i gruppi di progettazione che operano grazie ad economie deboli ed occasionali costruendo scenari di ritorno al centro. Santiago Cirugeda Parejo, già in tempi non sospetti, in Spagna predisponeva, e oggi continua a farlo con maggiori motivazioni, recetas urbanas ovvero strategie progettuali al limite della legalità per permettere a chi ha poco di vivere nel cuore della città, perchè solo così può usufruire delle prossimità che sanciscono la sostanziale differenza tra disperso e compatto. L'architetto spagnolo, considerato fino a poco tempo fa più un'artista che un vero progettista visti i pochi metri cubi realizzati, si offre ad una committenza dalle risorse limitate quale consulente per rilevare nella normativa falle o, dipende dal punto di vista, possibilità per trovare "case" dove all'apparenza non sembrerebbero poter esistere. Le impalcature di lavori in corso (Andamios, Siviglia 1998 e Capsula 1 S.C., Siviglia 1998-1999), il tetto di un edificio (Vivienda ilegal - La casa de Pepe, 2000), gli spazi di distribuzione di una palazzina d'appartamenti (Proprietad horizontal derivada en vertical, Siviglia 2001), un lotto in attesa di edificazione (Casa Rompecabezas, Siviglia 2002) diventano spazi dove innestare diritto e spazio dell'abitare, il risultato sono luoghi della semi-legalità, spesso utilizzabili a tempo determinato, trovati grazie ad una lettura mirata e diagonale delle norme. Quelle stesse norme che avrebbero dovuto semplicemente regolamentare l'uso dello spazio ma, se manipolate, si offrono quali strumenti della costruzione di nuove forme di ospitalità. Un esempio, questa volta scevro di missioni sociali, è la casa realizzata dagli R&Sie(n) – il titolo dell'opera è I’m lost in Paris (2008) – in una corte parigina, anche qui il desiderio di stare dentro il sistema urbano ha portato i progettisti ad usare un truc per mettere in cortocircuito quelli che sono i limiti tra le proprietà e lo spazio condiviso, per renderli ambigui. L’architettura attiva un gioco di complicità con l’elemento “vivo” che la avvolge: il manto della vegetazione che ingloba l’abitazione è funzionale a rendere dubbi i limiti di edificazione imposti per legge nei "vuoti" degli isolati parigini.

In sostanza all'alba del nuovo millennio si moltiplicano le esperienze che esplorano la necessità di un ritorno al centro e di conseguenza la normativa diviene materia di progetto proprio perchè passa attraverso questo strumento l'effettiva possibilità, dimenticata e paralizzata per un periodo, di manipolare il cuore della città. Il considerare la norma non letteralmente come tale ma come sistema di codici da ricalibrare su "normalità" in evoluzione si configura quale via per permettere il rientro dell'ordinario, dei paesaggi del quotidiano e delle sue relative trasformazioni a ridosso o all'interno di un "nuovo" possibile sistema urbano compatto.

Caratteri. Se il magma informe che ha segnato il potere individuale, la singola proprietà che prende corpo, ha permesso appunto l'emersione di un immaginario ordinario spesso inascoltato dall'architettura, il ventre della città si offre oggi quale rifugio alla crisi delle risorse, quale invito a nuove opportunità insite nel concetto di prossimità. Qui insiste la sfida per il progetto: non è possibile infatti presagire un ritorno all'uniforme indistinto ma anzi quel ritorno al senso di comunità, meglio alla necessità di vivre ensemble (narrato oggi insistentemente dal suffisso co-) chiede traduzioni accorte di una società esplosa nei suoi connotati e desiderata, pienamente consapevole delle proprie différences. Allora compatto può voler dire sì condiviso, insistente sullo stesso punto, articolato nelle tre dimensioni ma al tempo stesso non obbligatoriamente pieno ma forse solo occupato, frequentato.

Dopo aver visto la costruzione di immaginari diffusi ma distinti, alla ricerca ossessiva di personalizzazioni spesso articolate più con l'arredo che con l'architettura e lo spazio, ma così è successo anche per alcune operazione di carattere pubblico, ora la sfida posta dal ritorno al centro è di non dimenticare cosa ha offerto il disperso in termini di ospitalità e declinazione dei caratteri dell'architettura. Il problema non insiste tanto su una questione meramente tipologica ma va oltre, sembra immune dalle riflessioni del moderno e invece rimandare sempre più insistentemente e nostalgicamente al travaso dell'immaginario architettonico storico, ricco appunto di caratteri, in sicuramente sgrammaticate rimenbranze o tentativi falliti. Ma quest'aspirazione, che supera il mero problema quantitativo e numerico, nota e dibattuta, spesso tacciata di essere semplice questione linguistica, pone in essere invece prepotentemente il problema dello spazio e della sua effettiva capacità di partecipare al disegno della città non per caso o come eccezione, nè come grande assente. Ancora la città contemporanea insegna che l'assenza di articolazione spaziale non porta a una semplice rinuncia ma all'accatastamento di mondi e linguaggi negli interni, più facilmente manipolabili e personalizzabili, lasciando vuoto di senso l'esterno, perchè spesso come tale si pone, non rappresentativo, dichiaratamente neutro perchè banalmente seriale, ancora inabitabile perchè di nessuno non perchè di tutti.

Ruoli. Sostanzialmente l'annunciato ed imminente possibile ritorno in città mette in discussione l'assodata posizione professionale dell'architetto. Se infatti il magna urbano è un mare in continua espansione allora il progettista è colui che disegna nuove realtà decise dal potere politico e dal dispotico mercato, ma nel momento in cui s'inverte la rotta allora prende corpo l'occasione di fermarsi a riflettere e ricalibrare i ruoli. La prepotente coincidenza tra progetto e aumento di cubatura (declinata in altri termini in sviluppo di un mercato edilizio che ha messo in valore il concetto di nuovo, non in termini spaziali ma proprio in termini oggettuali: affermando la necessità continua di una nuova cosa, di una nuova casa) sembra aver terminato la propria corsa verso il futuro. Forse – il dubbio è lecito trattandosi di un problema culturale che nasce da un limite materiale (la fine delle risorse, in senso vasto: terra, denaro, idee...) – il rientro in città può essere l'occasione per riaprire lo spettro dei compiti del progettista, chiaramente tutto questo sta già succedendo in virtù dell'istinto di sopravvivenza, ma con la consapevolezza del valore che questa revisione può assumere anche in termini didattici. Il mercato oggi chiede prima di tutto idee e poi consequenziali azioni, gli spazi vuoti non si riempiono più automaticamente e l'arresto del procedere oltre richiede una riformulazione del ruolo delle parti, in generale chiede a viva voce un'idea di città.

Il ritorno in città si configura come un sostanziale ritorno all'esistente e il mondo della costruzione italiana, l'apparato normativo su cui fa perno, le concorrenze in campo si trovano inaspettatamente impreparate proprio perchè per molto tempo impegnati a sostenere la conquista di nuove frontiere, di nuove terre. Lo scenario nel quale ripensare la figura dell'architetto, non più e solo un uomo faber ma un produttore d'idee capace di conciliare traiettorie e realtà, sembra delinearsi quale l'alba di un nuovo mondo da costruire sulle e con le macerie di una guerra, la dissennata guerra che la costruzione ha dichiarato nei confronti del territorio sostenuta da un procedere senza meta e dal piacere che questa scoperta continua ha provocato. Allora sostanzialmente servono generali, prime file e forse pochi soldati, per evitare che si configurino altre prigionie oltre a quelle già registrate, per decidere e configurare un rapporto che si fonda su molti ritorni, e che si può permettere poche nostalgie se veramente vuole essere un mondo nuovo.


Sara Marini è Ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana presso l'Università Iuav di Venezia.