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Francesco Rispoli

Le forme della città in estensione

Due casi studio nel territorio campano

Figure del progetto nel territorio agrario: il Vallo di Diano. - ZOOM

Figure del progetto nel territorio agrario: il Vallo di Diano.

Abstract
La ricerca ha mirato a mettere a punto, attraverso gli strumenti del progetto di architettura, tattiche e strategie per la valorizzazione del territorio della città diffusa, individuando metodi di lettura di tipo relazionale, come layering di sistemi geografici, topografici, infrastrutturali, insediativi, agricoli.
La ricerca si è occupata di due aree dalle geografie assai differenti. In entrambi i casi lo sguardo ha privilegiato un’idea della forma come mezzo piuttosto che come fine. Un canovaccio che descrive campi di possibilità, una disciplina regolativa per una forma a venire non predeterminata ma aperta a costellazioni di senso, una governance alla scala architettonica.

Costellazioni vs dis-astri: è lo slogan che in entrambi i casi riassume il senso di strategie progettuali che cercano luoghi in cui un senso possa essere possibile, condiviso e trasmesso e che facciano spazio alla possibilità dell’avvenire.

La città in estensione - quella che per Samonà (1976) “conferisce a tutte le cose di un territorio aperto un particolare valore insediativo nella disciplina dei suoi spazi, regolati da norme che vincolano, anche formalmente, ogni parte della campagna modellandola sui comportamenti dei processi agricoli e sulla presenza umana e riportandone l'insieme all'idea architettonica di città” - è la premessa concettuale della ricerca. Che ha mirato a mettere a punto, attraverso gli strumenti del progetto di architettura, tattiche e strategie per la valorizzazione del territorio della città diffusa, attraverso una condizione territoriale che individua metodi di lettura di tipo relazionale, come layering di sistemi geografici, topografici, infrastrutturali, insediativi, agricoli.
La ricerca si è occupata di due aree dalle geografie assai differenti, l'una  montuosa e interna, l'altra pianeggiante e costiera. La prima, nella provincia di Salerno, è individuata dalla corona dei centri minori disposti in sequenza sui rilievi montuosi ai bordi del Vallo di Diano. La seconda ha i caratteri tipici della pianura priva di limiti orografici e si estende tra le provincie di Napoli e Caserta nell'ampio bacino del fiume Volturno.
L’area del Vallo di Diano è attraversata dal fiume Tanagro e si è definita in seguito alla bonifica di epoca romana, necessaria premessa perché l’originario lago pleistocenico fosse poi disegnato dai canali di irrigazione e dalla coltivazione dei suoli. Nel tempo si è sviluppata una dispersione insediativa senza connessioni con i nuclei urbani minori esistenti sui crinali, né con la città lineare sviluppatasi longitudinalmente lungo la statale. Qui la geografia stabilisce con forza geometrie, ordine e misure, e individua nella specializzazione morfologica del suolo – le tessiture dei campi coltivati e le incisioni dei canali - il tema della sua identità.
Elementi di questo ambito sono: il suolo, con la prevalenza degli usi agricoli; il sistema di centri urbani minori, per lo più svuotati di senso a favore di un’occupazione alternativa del suolo a valle articolata lungo una rete capillare di stradine interpoderali, strutturata esclusivamente sul rapporto abitazione-lavoro dei campi; l’assenza di relazioni tra questi due sistemi; la fitta rete di accessibilità longitudinale che corre affiancata ad uno dei due versanti e ne condiziona le regole di crescita.
Per questo territorio si è privilegiata l’immagine di una grande città verde diffusa nel paesaggio agricolo che trova senso in questa sua dimensione e nel suo consolidamento. Il disegno di nuovi tracciati che articolino il rapporto tra trama interpoderale e occupazione del suolo agrario può contribuire alla costruzione di visioni condivise dagli abitanti.
A partire dall’idea di urbanizzazione debole, si articolano dispositivi regolativi, una filigrana in forma di filamenti trasversali di densità variabile, che connettono punti singolari dei due versanti, lungo i quali si condensano forme costruite che orientano le modalità di crescita e la ri-definizione dell’architettura e degli usi.
Attraverso il sistema delle palificazioni dell’agricoltura, elementi dell’architettura (coperture, pareti, piattaforme) si addensano o si diradano lungo i filamenti nei pattern produttivo-ricettivi, o residenziali agricoli aggregati a grappolo o costruiti in relazione ai canali e corrispondenti a spazi che possano evolvere nel tempo verso forme più complesse. Si possono così costruire differenti ritmi e sequenze in cui la casa – con la sua specifica relazione con il suolo coltivato - è la parte elementare da cui prende origine una composizione su scala ampia.
La città, che si espande a nord di Napoli tra i laghi Patria e Fusaro, si attesta in un territorio fino a cinquant’anni fa dotato di un disegno di paesaggio agrario con regole e misure definite, soggetto poi ad una consistente infrastrutturazione stradale e ferroviaria e al progressivo sviluppo di un’edilizia dispersa indifferente sia al paesaggio agrario che ai tracciati stradali.
I nuovi usi abitativi non mostrano alcun senso di appartenenza: i lotti occupati, recintati e privatizzati, sono autistici rispetto al circostante sia nell’uso che nella forma. Lo spazio tra questi non è pubblico e di tutti, ma terra di nessuno. Vari sistemi - agrario, infrastrutturale e residenziale – convivono autonomi in un layering paratattico.
Con questa condizione si confronta l’aspirazione a un disegno in cui i sistemi di elementi, non più fissati in relazioni univocamente predeterminate, siano in grado di stabilire, nell’ordine della successione e in quello della compresenza, una pluralità di relazioni. Il principio compositivo per ristrutturare il paesaggio agri-urbano mette a punto dispositivi regolativi per il disegno dello spazio pubblico nella direzione della mutua riconoscibilità di differenti memorie collettive e della moltiplicazione delle possibili relazioni.
Si individuano, così, sezioni trasversali alla linea di costa e alle principali direttrici infrastrutturali che, segnate da singolarità orografiche, da canali e assi di  attraversamento, costituiscono i luoghi dove il carattere della città può essere reinterpretato e ristrutturato utilizzando come materiali del progetto gli stessi elementi del paesaggio.
Nella parte sud il parco periurbano della valle del canale di Quarto è strutturato con superfici, linee e punti che si sovrappongono su layers diversi riprendendo giaciture e maglie di attesa del disegno esistente. Al centro, il nucleo edificato di Varcaturo, nel “delta” tra l’alveo dei Camaldoli e la via Staffetta, viene attraversato da una sequenza di spine attrezzate che si configurano come fili rossi che tengono insieme aree abbandonate, architetture non finite, attrezzature, aree agricole con l’intento di costruire sequenze di spazi pubblici capaci di determinare effetti urbani e lasciare tracce su cui interpolare il plot di progetti a venire.
In entrambi i casi lo sguardo ha privilegiato un’idea di territorio diversa da quella che lo ritiene mero eccipiente tecnico delle infrastrutture, e un’idea della forma come mezzo piuttosto che come fine. Una sorta di forma formante, nell’accezione pareysoniana del termine. Un canovaccio che descrive campi di possibilità, una disciplina regolativa per una forma a venire non predeterminata ma aperta a costellazioni di senso, una governance alla scala architettonica.
I due casi di studio hanno premesse ed esiti differenti. Nell’area a Nord di Napoli i caratteri geografici, infrastrutturali e insediativi mostrano la più totale indifferenza reciproca. Qui il progetto ha assunto la condizione frammentaria come un insieme di lasciti da postillare attraverso nuovi frammenti, organizzati tuttavia in una serie di articolazioni nel corpo stesso del suolo e degli abitati. Un’agopuntura in luoghi nevralgici per determinare effetti urbani, una sorta di collana di spazi ove realizzare nel tempo elementi primari invertendo la consecutio teorizzata dalla scuola italiana di analisi urbana.
Nel Vallo di Diano la forza della geografia è invece una risorsa da non disperdere nella frammentazione. Perciò il progetto ha insistito nella ricerca di una filigrana strutturante la modificazione futura a partire da figure elementari, patterns formali di insediamenti minuti, reti geografiche capaci di formare costellazioni e figure compatibili con i caratteri spaziali dell’area e con la profondità della storia del suo paesaggio.
Costellazioni vs dis-astri: potrebbe essere lo slogan che in entrambi i casi riassume il senso di strategie progettuali che cercano luoghi in cui un senso possa essere possibile, condiviso e trasmesso e che facciano spazio alla possibilità dell’avvenire.

Bibliografia
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Francesco Rispoli è Ordinario di Composizione Architettonica e Urbana del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”. È stato responsabile scientifico di alcune convenzioni del Centro Interdipartimentale di Progettazione Urbana “L. Pisciotti” che attualmente dirige.

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