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Per un benchmark della densità

Benno Albrecht

Orvieto

Orvieto

Sir Patrick Abercrombie promuove nel 1926 una campagna per contenere lo sviluppo delle città e del ribbon development, negli stessi anni Williams-Ellis Clough scrive il libro di critica allo sprawl, England and the Octopus. Nel 1958 William H. Whyte Jr. in The Exploding Metropolis, afferma che “sprawl is bad aesthetics; it is bad economics”. 

La critica alla dispersione urbana ha una data antica ma oggi ancora affermiamo che il progetto della città della dispersione e dello sprawl deve subire una metamorfosi. E’ chiaro che non sono state formulate alternative e strategie operative adatte a fronteggiare e sostituire il processo di dispersione. 

Una delle particolarità della proliferazione urbana è che il fabbisogno di nuovi spazi da urbanizzare e da destinare per le infrastrutture non diminuisce anche dove la popolazione è stabile o addirittura in calo. La dimensione delle città europee si è ampliata dagli anni 50 del 78% a fronte di un aumento della popolazione del 33% (Urban sprawl in Europe, The ignored challenge, EEA Report No 10/2006). 

La definizione di un benchmark della densità insediativa è forse un preludio necessario per ottenere una città con un’adeguata capacità di carico.

Aumentare la densità degli attuali insediamenti comporta la riduzione delle distanze tra posto di lavoro e le residenze dei lavoratori. Diminuendo le distanze diminuiscono i consumi e l’impatto dei mezzi di trasporto sull’ambiente. Ad una elevata densità corrisponde una elevata intensità di uso delle infrastrutture, la riduzione delle gittate delle componenti impiantistiche urbane. 

Le distanze minori comportano economie di scala e ottimizzazione delle forniture. Si compattano anche i bacini d’utenza delle infrastrutture e le possibilità di rifornimento e di fornitura in rete. 

La concentrazione urbana implica la possibilità del controllo del ciclo globale del metabolismo urbano, delle reti e dei rifiuti, che possono essere centralizzate, ottimizzate e controllate. 

La densificazione comporta la distribuzione orizzontale del plus valore della rendita fondiaria che oggi è incentrato sugli aumenti di cubatura e sui cambi di destinazione d’uso nelle aree di espansione agricola. 

Ogni processo di densificazione deve comportare un provvedimento di contenimento urbano (urban growth boundaries, UGB). L’appetibilità per il mercato di agire nella città già edificata può avvenire solo se non vengono resi disponibili alla fabbricazione i terreni di cintura urbana ed i conseguenti guadagni derivanti dai loro cambi di destinazione d’uso. Un altro fattore importante per la riuscita dei progetti di densificazione, almeno nella realtà italiana, è legata al regime fiscale degli introiti comunali, che bisogna ripensare completamente. Densità abitative più alte aumentano concretamente il gettito fiscale senza aumentare in modo significativo il carico di infrastrutture e servizi.

A parità di risultato, di qualità di vita e di qualità architettonica, un insediamento denso è più sostenibile di uno sparso, semplicemente perché consuma meno suolo. 

Bisogna stabilire e concordare la “giusta densità” di una parte di città e dove è il punto di sublimazione di un agglomerato urbano che da denso può diventare sovrappopolato o congestionato. Una proposta è quella di stabilire un benchmark, il punto di riferimento, e la nostra proposta è di adottare come riferimento la densità della città storica, preindustriale, dell’Italia del nord. 

La densità va misurata come mq di costruito/mq di superficie territoriale, e non seguendo il dato della concentrazione demografica. Le densità dei centri storici di alcune città del veneto e del trentino risultano oscillare tra i 2,3 ed i 2,9 mq/mq, una media di 2,6 mq/mq. Il dato costante è facilmente comprensibile perché esiste un limite fisiologico all’aumento della densità derivante dalle tecniche costruttive che limitavano le altezze degli edifici ed il loro rapporto con gli spazi non occupati.

In diverse zone delle edificazioni post belliche si riscontrano invece dati di densità simili e che oscillano tra 0,5 mq/mq ed 1 mq/mq. Questo significa che le periferie consumano suolo circa 5 o 3 volte tanto rispetto agli agglomerati storici, con una evidente minore qualità spaziale, architettonica ed anche di vita.

Il disegno urbano che mira al risparmio di terreno, l’adeguamento e il ridisegno della città postbellica è forse un’arte sottovalutata dalla cultura architettonica in questi ultimi anni, ma ne abbiamo ancora bisogno. 


Benno Albrecht è architetto e professore di Composizione architettonica e urbana all’Università Iuav di Venezia. Tra le sue pubblicazioni: Conservare il futuro. Il pensiero della sostenibilià in architettura (Padova 2012);

Le origini dell’architettura (con L. Benevolo, Roma-Bari 2002).


Bibliografia

Abercrombie P.(1926). The Preservation of Rural England, London: Hodder and Stoughton Ltd.

Albrecht B. (2008). Metodo della pianificazione urbanistica-Disegno urbano sostenibile. In: AA.VV., Il nuovo manuale di urbanistica, vol. 2, Roma: Ed. Mancosu, p. 4-15.

Clough W-E. (1928). England and the Octopus, London: Geoffrey Bles.

William H. Whyte Jr. (1958). The Exploding Metropolis, Garden City, N.Y.: Doubleday.

EEA - European Environment Agency (2006). Urban sprawl in Europe, The ignored challenge, EEA Report No 10/2006.


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