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La qualità architettonica di una regione

Oltre l’oggetto di design e oltre il Piano

Giovanni Leoni

Lungo la via Emilia. Fotografia di Alessandra Chemollo fatte per la schedatura DARC - Emilia Romagna, Modena, Reggio, Parma, Piacenza

Lungo la via Emilia. Fotografia di Alessandra Chemollo fatte per la schedatura DARC - Emilia Romagna, Modena, Reggio, Parma, Piacenza

La discussione sulla qualità architettonica di una regione – in senso amministrativo o in senso più ampio – non può prescindere da una difficoltà della cultura architettonica italiana recente a concepire il progetto in una dimensione geografica.
Per dimensione geografica si intende la capacità di governare il progetto di trasformazione e conservazione dell’ambiente costruito, a tutte le sue scale e in tutte le sue fasi, tenendo conto dei seguenti elementi:
1. una conoscenza della regione in cui si colloca il progetto sotto il profilo della storia economica e politica, assunta tanto nel dettaglio delle vicende locali, quanto nella cornice di un inquadramento il più ampio possibile, con la consapevolezza che i caratteri geografici di un luogo dipendono in larga misura anche da dati storici e umani;

2. una conoscenza antropologica, per così dire, o di storia non evenemenziale: la vita quotidiana delle persone in quel luogo, a una scala che varia dalla conoscenza dei caratteri generali degli abitanti fino al racconto esatto di vicende biografiche legate al luogo, da cui la conformazione del luogo stesso è stata determinata; il luogo, dunque, la sua “geografia”, come un racconto di vita, in parte artificiale e in parte naturale, scritto nella materia;
3. una conoscenza fisica, anch’essa a scale differenti che variano dall’area geografica, con le sue caratteristiche di clima e di luce, ai caratteri paesaggistici della regione, alle conformazioni fisiche del luogo specifico, fino a un incontro diretto e ravvicinato con la materia di cui il paesaggio è fisicamente composto.

Tale visione geografica del progetto, articolata sulle diverse scale senza soluzione di continuità, consentirebbe di superare due limiti di cui la cultura architettonica risente:
1. il ruolo impositivo del progetto come atto ordinatore della realtà volto a portare il “bello” secondo una concezione puramente estetica e individuale del progettista, a favore di un atteggiamento progettuale di natura interpretativa dell’esistente, che naturalmente non esclude processi di formalizzazione ma che assume come materia determinante del progetto dati esistenti e non necessariamente riconducibili a un solo modello di trasformazione;

2. l’illusione del contestualismo, della pura conservazione o, peggio, del minimalismo, ovvero della convinzione di poter agire su un luogo, attualizzandolo, senza modificarne la struttura, a favore di una assunzione di responsabilità della trasformazione e di una ricerca della sua legittimità.

In altre parole, porterebbe a superare tanto l’astrazione e, spesso, la “letterarietà” del Piano, come strumento vincolistico, quanto l’illusione del Concorso di Idee d’Architettura, come atto risolutivo di problemi complessi ridotti alla invenzione di un oggetto di design, più o meno complesso.

La capacità del progetto di architettura di agire in modo “specifico” rispetto al luogo che trasforma, alle diverse scale - dove per specifico si intende in rapporto chiaro e consapevole con le richieste della “committenza”, intesa nel senso ampio della comunità coinvolta nella trasformazione da un lato e, dall’altro, le “richieste” del luogo, nella sua struttura fisica e di memoria storica (valori estetici riconosciuti, tradizioni materiali e costruttive, relazioni con i sistemi “naturali” e con i grandi “segni” della antropizzazione) – richiede strumenti del tutto nuovi: tavoli di condivisione dei valori, nuovi strumenti e linguaggi di mediazione tra i saperi, una nuova cultura progettuale – di cui l’Università deve farsi carico e che ad oggi nemmeno si intravede – in grado di pensare e portare a sintesi – non solo formale – la complessità dei temi legati ai processi di trasformazione, temi ben più ampi della dominante estetica architettonica.

 

Giovanni Leoni è Professore Ordinario di Storia dell'Architettura presso la Facoltà di Architettura "Aldo Rossi" di Cesena

Lungo la via Emilia. Fotografia di Alessandra Chemollo

Lungo la via Emilia. Fotografia di Alessandra Chemollo