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La via Emilia e l'architettura di regione

Carlo Quintelli

Via Emilia: strada e piantate

Via Emilia: strada e piantate

Volendo descrivere l’architettura che si realizza in una regione, nella fattispecie l’Emilia Romagna, correndo il rischio di perdersi nella dimensione ampia degli spazi e dei fenomeni di un complesso quadro geografico, converrebbe partire dalle principali componenti che la strutturano. Quelle materiali certo, ma anche di un immaginario alimentato da possibilità rilevabili nella storia, nel presente e soprattutto nel futuro, di un territorio contraddistinto dalla vocazione comunitaria per via di architettura (1). Non quella comunità che si instaura nella valle o sull’altura ma soprattutto quella, la più libera, dell’orizzontalità orografica che favorisce forme di strutturazione insediativa corrispondenti a ben precise strategie dell’antropizzazione.

In questo approccio appare fondamentale praticare il disincanto della visione gestionale urbanistica e territoriale, pianificante per aggiustamenti, attraverso una certa moderazione espansiva (non sempre, anzi), secondo dignità edilizia e messa in opera delle “cose possibili”. Non solo, occorrerebbe riflettere sull’effettività dei buoni miti, oltretutto solo parzialmente percepiti e quindi non più tali, ad esempio dell’integrazione sociale dei meccanismi insediativi, di uno sviluppo perequativo, del controllo pubblico della trasformazione urbana e territoriale. Uscendo anche dalle retoriche troppo fruste della tradizione quanto dal provincialismo dei neo-modernismi di facile importazione, disponibili sui cataloghi della comunicazione planetaria e spesso disinvoltamente spesi per l’appeal del contesto. L’architettura di regione si interroghi piuttosto sui propri campi di azione, sulle fisiologie che li animano, sulle dinamiche di significazione dei luoghi attraverso gli ambiti antropo-geografici che danno forma e funzionalità a un’entità regionale in continuo itinere.

Rispetto a questo presupposto non possiamo quindi eludere il fattore strutturante, nella continuità storica, di un espressione insediativa quale quella della Via Emilia, oggi ancora del tutto sottovalutata, infrastruttura architettonica poleo ed agro generativa ma soprattutto strumento attuale di rielaborazione dell’abitare i luoghi, alle diverse scale tra il fronte aperto dei campi e le modulazioni urbane della quinta, dell’incrocio e dello slargo. Dove vetrine, chiese, rustici rurali, multisale, fabbriche, scuole e municipi, centri commerciali, villette e velleitari piccoli quartieri, ma anche svincoli e viadotti cancellatori di tracciato, costituiscono il materiale da trattare attraverso un’interpretazione critica e progettuale che possa prefigurare significato rappresentativo e logica funzionale, nell’interesse collettivo, quali presupposti di vera vivibilità. Le strade sono la dimora della collettività osserva Benjamin, e la collettività, tra mille interessanti contraddizioni, è sicuramente presente nel dimorare collettivo della strada consolare Emilia in rapporto non solo alla città ma alla periferia conurbativa, alla ruralità urbanizzata, ai lacerti di una campagna sempre più esausta, ad una territorialità vasta che può ancora guardare alla retta dell’arteria storica regionale, e alle sue filiazioni parallele, quale riferimento ritmico di una linearità centrica, distributiva, scambiatrice. Gambi ci ricorda d’altra parte come i segni strutturanti della Regione Emilia Romagna, e la via Emilia in primis, siano vera architettura, forma esplicita, andamento geometrico orientato secondo assetti prevalenti. Linea retta, punto, superficie piana, ordine ortogonale, in sovrapposizione a sinuosità, concrezioni, aderenze, scarti. E dove la parola architettura, tra metafora e senso letterale, pur continuamente declinata in termini tran-scalari tra la singolarità dell’oggetto e la pluralità geografico paesaggistica, ribadisce il denominatore comune di una assunzione di responsabilità strutturante delle forme (ospitanti funzioni e simboli). Robert Venturi farebbe fatica a comprendere anche semanticamente un sistema così antico e così attuale. Lo stesso Guido Canella, un grande lettore dell’architettura di regione, mi è sembrato più volte perplesso di fronte a un’interpretazione così sistemica della via Emilia, forse per la consuetudine ad applicarsi alla diversa fisiologia insediativa della strada lombarda, nella dinamica molecolare della radiocentricità milanese.

Ma l’incipit appare ineludibile. Per una strategia simbolica, funzionale e formale dell’architettura di regione si cominci dalla Via Emilia, così coinvolgendo, nella dialettica del disegno complessivo, il terminale del fronte costiero, la trasversalità appenninica, l’andamento parallelo e sinuoso delle terre del Po.

 

Carlo Quintelli è Professore Ordinario in Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura di Parma


1) Ulteriori riflessioni in merito vengono sviluppate in La comunità dello spazio progettato in R. Cantarelli e C. Quintelli, Luoghi comunitari. Spazio e società nel contesto contemporaneo dell’Emilia occidentale. Parma FAEdizioni 2010. Inoltre nella nota n.8 si richiamano le principali pubblicazioni che riguardano l’attività di ricerca sul sistema insediativo della via Emilia denominato CITTAEMILIA.


Via Emilia: strada e rudere

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