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Tempo della storia e tempo dell'architettura

Lamberto Amistadi

"kairos" è il tempo indeterminato nel quale accade "qualcosa" di speciale. Nell'antica Grecia significava il "momento giusto o opportuno".

Premessa.
Il “costruire nel costruito” (Bauen im Bestand) riguarda, come questione, il tempo. Un edificio o un luogo vengono costruiti in relazione ad un fatto (urbano) esistente e soprattutto “dopo” il fatto esistente. All'interno di tale successione di accadimenti si produce la storia nella sua “permanente evoluzione”. Per Rogers “il senso della storia” consiste proprio nello stabilire “una relazione nel tempo fra il momento presente e i momenti che l'hanno preceduto. (…)”. (1)
È a questo punto che bisogna sforzarsi di distinguere tra il tempo della storia e il tempo funzionale al lavoro dell'architetto. Un libro come “L'architettura della città” è il racconto faticoso e contraddittorio dell'emancipazione dell'architettura dalle ragioni contingenti (storiche e fenomenologiche) per riappropriarsi di un'autonoma e specifica esperienza storica. Gianugo Polesello chiarisce con la consueta lucidità il tipo di esperienza e di tempo propri dell'architettura: “(...) Lo stesso discorso poi è valso per l’architettura, e da lì si spiegano in parte la nostra curiosità, il nostro interesse e la nostra passione verso il mondo della metafisica architettonica, dell’architettura senza tempo, del mescolare contemporaneamente il mondo attico o il mondo egiziano e il mondo moderno, del vedere il mondo moderno come antico e di poter mischiare le carte.” (2)
Bisogna continuamente ripetere, che l'architettura non rientra tra le discipline il cui processo di produzione è sottoponibile al solo tempo della “storia generale”. Essa si nutre continuamente della propria esperienza particolare, svolta tutta all'interno dei suoi caratteri specifici. Lo stesso Rogers prosegue mettendoci in guardia da un'adozione semplicistica del rapporto fra “momento presente” e “momenti che l'hanno preceduto”: “(...) Si tratterà di vedere il rapporto, la ragione di questo rapporto, la sua qualità e le sue conseguenze.” (3)
Ciò trova conferma nel bell'articolo sopra di Andreas Hild: Gedacht/Gebaut.

Il tempo della forma.
In prima istanza possiamo distinguere tra una “storia generale”, che scandisce la successione degli accadimenti secondo la logica di un tempo lineare ed una “storia particolare”, specifica della disciplina all'interno della quale si opera. Per l'architettura si tratta di una storia che, contraddicendo la propria natura, raccoglie i materiali dell'esperienza in uno spazio senza tempo, il cui repertorio viene continuamente integrato dai materiali prodotti successivamente. Così, “costruire nel costruito” significa tenere in considerazione entrambi questi generi di materiali (Bestand): le “preesistenze ambientali” (4), fisiche e culturali, appartenenti all'attualità storica e fenomenologica, e le preesistenze accumulate dalla disciplina nel corso della sua esperienza millenaria.
Esiste poi un terzo tipo di “qualità” del rapporto “fra il momento presente e i momenti che l'hanno preceduto” ed è quella che governa lo “spazio interno”, in cui si svolge il processo compositivo. Si tratta certamente anch'esso di un tempo circolare, i cui accadimenti sono compresi tra la posizione di un'ipotesi iniziale ed un esito, al termine del quale l'oggetto architettonico esce dalla sua indeterminatezza per accettare una forma definitiva. È un tempo specifico e metastorico, nel quale opera una “meccanica interna”, che Luciano Semerani non può che definire “inattuale”. (5) I Greci antichi distinguevano questo tipo di tempo dal precedente utilizzando la parola   “kairos”. Se “kronos” misura quantitativamente la distanza tra un prima e un dopo, “kairos” indica un periodo indeterminato nel quale accade “qualcosa” di speciale. Non so se ciò ha a che vedere con la “dissolvenza” (Überblendung) dell'articolo di Hild, cioè con l'ambiguità nella quale si stabilisce il rapporto di linguaggio tra “costruire” e “costruito”. Di sicuro riguarda l'indeterminatezza, che precede la determinazione finale, di cui la forma è espressione e che fa dire a Rogers: “Per noi, ogni cosa si svolge invece, dal suo nucleo vitale interno e ci conduce, passo passo, verso le conclusioni finali. Non si esclude, naturalmente, anche per noi una intuizione determinante, che contenga già un certo gusto, una scelta personale, per il linguaggio espressivo; ma mentre progettiamo cerchiamo di tener in sospeso, il più possibile, ogni apriorismo delle forme.” (6)

Etica e creatività.
Il rapporto tra “costruire” e “costruito” assomiglia sempre di più a quello tra autore ed opera, ossia tra il soggetto (l'architetto che interviene sul costruito, costruendolo) e l'oggetto (il costruito). E forse, ogni opera di architettura è sempre un “costruire nel costruito”, nel corso del cui processo creativo l'intenzione dell'architetto e la sua capacità critica svolgono un ruolo fondamentale. Ricordiamo due definizioni: 1. “La creatività si riconosce da questo, che è un intervento nel processo dialettico della realtà” (7) e 2. il concetto di “fantasia oggettiva”.
1. La realtà dell'architettura, il “costruito”, è sempre la sintesi risolutiva del rapporto tra una volontà ed un “costruito” precedente, insieme preesistenza e pretesto. L'architetto è il termine medio, che permette il perpetuarsi del circolo del “costruito sul costruito”, nella cui replica la città risponde del suo significato essenziale: di rimanere se stessa pur trasformandosi continuamente. (8)
2. In verità, ogni persona impegnata nel faticoso processo creativo della costruzione del mondo esperimenta se stessa come mediatore tra soggetto e oggetto. Nel bello scritto “Sollecitazione significativa per una sola parola intelligente” (9), Goethe illustra il metodo della “fantasia oggettiva”.
Il metodo consiste nel “costruire” l'opera letteraria a partire dal “costruito” rappresentato dalle favole e dalle leggende, che i suoi genitori gli raccontavano quand'era bambino. Le favole dell'infanzia erano il pretesto su cui innestare la ripetizione o il “continuare a scrivere” (weiterschreiben): “Certi grandi motivi, leggende, tradizioni millenarie, mi s'imprimevano così profondamente nei sensi, che li ho conservati vivi e operanti in me per quaranta o cinquant'anni; rivedere spesso con la fantasia queste belle immagini mi sembrava il più ambito tesoro, perché cambiavano continuamente aspetto senza mutare sostanza, e maturavano in forme sempre più pure, in rappresentazioni sempre più nette.” (10)
Per tale via, il rapporto tra “costruire” e “costruito” non può che essere ricondotto alla cultura, alla sensibilità e al gusto dell'architetto. Il gusto come lo intendeva Galvano della Volpe (11), grazie al quale l'autore si fa carico di esprimere la contraddizione tra la natura linguistica specifica ed autonoma dell'opera ed i valori riconosciuti dal proprio tempo.


Lamberto Amistadi insegna Composizione architettonica alla Facoltà di Architettura di Parma.

1. E. N. Rogers, Il senso della storia, Presentazione del corso di Storia dell'Architettura Moderna, Politecnico di Milano, A.A. 1964/1965, Milano 1999.
2. G. Polesello, Ab initioindagatio initiorum. Ricordi e confessioni, in Aa. Vv. ,Scritti su Aldo Rossi ‘Care Architetture’, Torino 2002.
3. E. N. Rogers, Op. Cit.
4. E. N. Rogers, Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei, (1955), in Esperienza dell'architettura, Milano 1997.
5. L. Semerani, L'architettura come testo e la figura di Colin Rowe, Venezia 2010.
6. L. B. Belgiojoso, E. Peressutti, E. N. Rogers, Tre problemi di ambientamento, La Torre Velasca a Milano. Un edificio per uffici e appartamenti a Torino. Casa Lurani a Milano«Casabella» n. 232, 1959.
7. L. Semerani, Razionabilità della progettazione architettonica, in Aa. Vv.,Teoria della progettazione architettonica, Bari 1968.
8. C. Aymonino, Il significato delle città, Bari 1976.
9. J. W. Goethe, Sollecitazione significativa per una sola parola intelligente, (1823), in La metamorfosi delle piante, Parma 1983.
10. Ibidem.
11. G. Della Volpe, Critica del gusto, Milano 1960.
Cfr., L. Amistadi, Preesistenze ambientali, in Aa. Vv., Architettura di rara bellezza, Parma 2006. 

Jhon Dewey dalla cui opera Art as Experience (1934)  Ernesto N. Rogers ha mutuato il titolo del suo Esperienza dell'architettura (1958).

Jhon Dewey dalla cui opera Art as Experience (1934) Ernesto N. Rogers ha mutuato il titolo del suo Esperienza dell'architettura (1958).